È possibile utilizzare i buchi neri come vere e proprie batterie ricaricabili, e sfruttarli quindi per generare energia elettrica? È questa la domanda da cui sono partiti Zhan-Feng Mai e Run-Qiu Yang, ricercatori presso il dipartimento di fisica dell’Università di Tianjin (Cina). Domanda a cui hanno cercato di rispondere, per via teorica, in uno studio pubblicato su Physical Review D. La conclusione? Le equazioni dicono che sì, teoricamente è possibile pensare di sfruttare la forza di gravità di un certo tipo di buchi neri per generare energia elettrica. La pratica, però, è a dir poco lontana. Anche perché non sappiamo ancora se i buchi neri della dimensione “giusta” per questo tipo di applicazione (se così possiamo chiamarla) esistono effettivamente o solo sulla carta.
I buchi neri primordiali
I buchi neri vengono solitamente suddivisi in tre categorie in base alla loro massa: esistono quelli supermassicci, quelli di massa intermedia, e quelli cosiddetti “di massa stellare”, che si formano dal collasso di una stella di massa pari o superiore a 20 volte quella del Sole. Ci sarebbe poi una quarta categoria, quella dei buchi primordiali, della cui esistenza non siamo ancora certi.
Questi ultimi si sarebbero originati nei primissimi istanti successivi alla formazione dell’Universo come lo conosciamo, a partire da “agglomerati” di materiale molto caldo e denso. Successivamente, con la progressiva espansione e il progressivo raffreddamento dell’Universo, le condizioni necessarie alla formazione di questo tipo di buchi neri sarebbero venute meno.
Se esistono, i buchi neri primordiali sono oggetti di dimensioni piccole in confronto a quelle degli altri tipi di buchi neri. Proprio per questo potrebbero essere “evaporati” nel corso del tempo a causa di un processo quantistico (anche questo ipotetico) noto come radiazione di Hawking, che consumerebbe, per così dire, più velocemente i buchi neri di dimensioni inferiori. Tuttavia, i buchi neri primordiali di dimensioni più grandi potrebbero ancora essere presenti da qualche parte nell’Universo, in attesa di essere scoperti e magari utilizzati per produrre energia.
Buchi neri come reattori nucleari
Secondo i calcoli di Mai e Yang, infatti, in termini di dimensioni sarebbero propri i buchi neri primordiali a poter fungere (in linea teorica, è sempre bene ricordarlo) come reattori nucleari da cui poter estrarre energia elettrica. In particolare, sarebbero i buchi neri di dimensioni pari a quelle di un atomo e di massa nell’ordine dei 1015-1018 chilogrammi a fare al caso (per paragone, Sagittarius A*, un buco nero super massiccio presente nella nostra galassia, ha una massa pari a quattro milioni di volte quella del Sole, che pesa circa 2×1030 chilogrammi).
L’opzione proposta dai due ricercatori, in base ai risultati di complesse equazioni, sarebbe quella di “ricaricare” questo tipo di buchi neri fornendo particelle alfa (che si ottengono per decadimento radioattivo) che verrebbero convertite in positroni, le antiparticelle degli elettroni.
Secondo i risultati riportati nello studio, nella migliore delle ipotesi sarebbe possibile recuperare in forma di energia l’equivalente del 25% della massa delle particelle date in pasto al buco nero primordiale. Niente male, se pensiamo che l’efficienza dei pannelli fotovoltaici si aggira mediamente attorno a questa percentuale. Prima però sarà necessario stanare i buchi neri primordiali (se esistono) e poi avere a che fare con tutta una serie di sfide pressoché insormontabili. Ma la scienza e la ricerca d’altra parte fanno il loro dovere anche “solo” aprendo la strada a nuove domande o a nuovi modi di vedere un certa questione. E quella di trovare un modo per ottenere energia dai buchi neri è una faccenda che tiene calde le penne dei fisici teorici già da un po’ di tempo.
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di Sara Carmignani www.wired.it 2023-12-11 06:00:00 ,