L’infortunio va messo in conto, per un calciatore fa parte dei rischi del mestiere. Anzi, è il rischio per eccellenza. Ma quando diventa seriale, il gioco non vale più la degenza. Tutte le strade portano al calvario, ci racconta in queste ore la tormentata vicenda di Renato Sanches, il centrocampista portoghese della Roma che – a poche ore dalla sfida contro l’Atalanta, con il rientro che sembrava imminente – si è frenato ancora, causa infortunio alla caviglia. Trauma distorsivo, trauma esistenziale. Non c’è pace per questo ragazzo che ha costellato gli ultimi anni di continue ripartenze, caricandosi sulle spalle una carriera a singhiozzo, segnata da premesse/promesse mai mantenute. Basti dire che negli ultimi tre anni si è fermato una sessantina di volte. La malasorte che si accanisce, il fisico di cristallo, la muscolatura inadeguata, la preparazione errata, le cure sbagliate: ogni lungodegente ha la sua personale storia di buche dentro cui è inciampato.
Pogba e Pepito Rossi, il campione interrotto
Certo che oggi Paul Pogba ha ben altri problemi a cui pensare – in attesa di verdetto, lo attende una maxi-squalifica per doping – ma non va dimenticato che in tutto il 2023 il francese ha giocato in campionato la miseria di 160 minuti – la durata di una miniserie televisiva – sparpagliati in 8 presenze divise in due stagioni. Non che negli anni al Manchester United fosse andata meglio: in Premier Pogba aveva giocato una partita su tre. Il record recente però spetta al nostro Pepito Rossi, il campione interrotto. Nei suoi diciotto anni di carriera (2004-2022) Pepito ha passato tre anni e quattro mesi (per la precisione 1255 giorni) tra infermeria, sale operatorie, palestre per il recupero e promesse assortite.
Da Pato a Pastore passando per Jovetic
Il problema è che quando ti fai male seriamente una prima volta, spesso succede che il ritorno in campo sia inquinato da una paura che non ti abbandona mai, per informazioni chiedere a due potenziali fuoriclasse che – colpa di muscoli e ginocchia delicatissimi – si sono dovuti accontentare di ben altra parabola professionale di quella ambita, parliamo di Pato e Pastore, ma in fondo anche di Jovetic (oltre 1550 giorni da infortunato) e del talento inglese Jack Wilshere, la cui biografia è sempre accompagnata dal doloroso copia e incolla: “I numerosi infortuni hanno condizionato negativamente il suo rendimento in carriera”.
Kaiser Raposo, il giocatore finto
E allora diventa la tenacia il valore aggiunto, basti pensare alle otto operazioni alla caviglia destra a cui si è sottoposto Santi Cazorla. L’ex di Villareal e Arsenal non si è mai arreso e ancora oggi – a 39 anni – corre su e giù per il campo, con la maglia della Real Oviedo e il sorriso di uno che ce l’ha fatta. Così tra un Deulofeu che non vede il campo da ormai quattordici mesi (si infortunò il 12 novembre 2022 al ginocchio, giocò un paio di mesi dopo una manciata di minuti e si infortunò ancora) e il più grande finto-infortunato della storia del calcio (quel Kaiser Raposo che ingannò tutti fingendosi un calciatore, mentre in realtà era “l’amico di” e simulò ogni volta un malanno fisico per evitare di essere smascherato) ecco che la storia di Dante Mircoli, semisconosciuto italoargentino della Sampdoria negli anni 70 restituisce a questa teoria di lungodegenti purtroppo veri un simil-sorriso.
“Me dole” Dante Mircoli
Mircoli era – banalmente – sempre infortunato. Un dolore alla coscia, uno strappo, una caviglia malmessa, una spalla dolorante, un piede ululante, uno strazio ovunque, un martirio a prescindere. Nell’album delle figurine 1974/75 – caso più unico che raro – Mircoli compare in borghese, con i pantaloni (forse) della tuta, più probabilmente con un paio di braghe rimediate all’ultimo momento, con l’aria smunta del ricoverato che aspetta la minestrina in brodo per cena. Il soprannome che gli avevano dato a Genova spiegava tutto. Lo chiamavano “Me Dole”, “Mi fa male”.