Ragazze e ragazzi, ecco a voi la guerra dei genitori. Aria tesa, tesissima al Tasso, storico liceo classico (uno dei più antichi) della Capitale, che vanta una pletora di allievi illustri, da Verdone a Floris, da Mieli a Gasparri e Tajani. Scuola dell’alta borghesia, nel cliché, ma ecumenica: tiene insieme negli annuari Giulio Andreotti e Luciana Castellina. Il punto è lo strascico incandescente dell’occupazione di inizio dicembre: la promessa di sanzioni disciplinari – cinque in condotta e sospensioni a nubifragio, con conseguenti ombre curricolari – ha generato una reazione scomposta.
Letteralmente, a catena: più che degli studenti, giorno dopo giorno, monta quella dei loro genitori. Giornalisti, avvocati, editor, militanti politici anche di lungo corso – classe dirigente, per stare al succitato cliché – ferocemente divisi in fazioni, organizzati in chat e contro-chat come in bande, agit prop per interposta persona. Difendono, legittimamente, i diritti della prole, ma con un piglio da barricata. Gli studenti, così, rischiano di essere ridotti al rango di spettatori di una contesa giocata – emotivamente e politicamente – dagli adulti. Da un lato, naturalmente, chi dalla prima ora si è scagliato contro l’occupazione e ora tiene il punto sulla reprimenda in forma di sanzione didattica. Chiamiamoli i disciplinatori, sulla linea Salvini-Valditara.
Dall’altro chi, fedele al principio di lasciare libertà di espressione e dunque di occupazione, ora contesta (durissimamente) i provvedimenti. Il problema, semmai, è che non si limita a questo. In difesa dei figli propri, mette alla berlina i figli altrui, cercando gli “imboscati”, tutti coloro che non si sono autodenunciati come occupanti. Caccia alle streghe, la chiama grossolanamente qualcuno. Lista di proscrizione, con richiesta di prova video, laddove fosse reperibile: il Var dell’aula occupata. Il clima, va da sé, si arroventa, gli attriti fra i padri ricadono sui figli; e i pochi che cercano di salvaguardare la tenuta della comunità scolastica fanno una gran fatica. Fiato semisprecato, per ora.
I ragazzi e le ragazze del collettivo, in una lettera aperta indirizzata a preside, ministro e «alla stampa», si assumono la responsabilità della scelta fatta, contestando all’istituzione di reprimere il dissenso in modo «non educativo ma punitivo». Rivendicano la natura politica del gesto di autodenuncia. Optano per un sit-in (venerdì) e tutto sommato abbassano i toni. Mamme e papà, al contrario, li alzano, soffiando sul fuoco di un derby che diventa politico. Conservatori (con la cinghia in mano) contro libertari-permissivisti (in cerca di giovani occupanti datisi alla macchia). Babbi di governo, presunti meloniani, e babbi di lotta, presunti piddini; ex alunni attempati che entrano a gamba tesa dove dovrebbero entrare in punta di piedi. Ma è un dato: i genitori a scuola fanno rumore, sempre di più. Partecipano, intervengono (di per sé non è un male). Contestano, strepitano. Qualche volta minacciano.
Il preside Paolo Pedullà, nel frattempo, sembra impegnato a sottrarsi a ogni strumentalizzazione: pare faccia lo slalom tra le telefonate, evitando perfino quelle ministeriali. E non ha intenzione di indossare il giubbotto che pure gli presterebbe in fretta Salvini, né la camicia nera – ma questa è una voce fantasiosa che circola nei corridoi – che gli oltranzisti gli avrebbero fatto recapitare per provocarlo.
A dire il vero, in una giornata spesa a cercare interlocutori dal vivo o da remoto, ne ho trovati solo di prudenti al punto da volersi anonimi: segno che sulla scacchiera bollente del Tasso ogni mossa pubblica, al momento, va meditata con cura. A microfoni spenti, chiunque è un fiume in piena. La ragazza che a testa alta non intende fare mea culpa, ribadisce la sua scelta di occupante e affronta serena la possibile sanzione. La mamma che fa osservare un problema di lessico: come stiamo usando le parole punizione, repressione, educazione? Un po’ a casaccio, in effetti. Ancora: la madre che trova positiva, nel caos in corso, la salvaguardia dei viaggi di istruzione (in questi casi, è la prima cosa che severamente salta). Il ragazzo che contesta l’intenzione di valutare «classe per classe» le sospensioni. Qual è il criterio? Quanto ai danni alla scuola, dice, «sono stati enfatizzati». Allude a «squadracce fasciste» autrici di qualche disastro addebitato alla più pacifica maggioranza di occupanti. Ecco che la politica, uscita dal portone, rientra dalla finestra: tanto più che nelle parole del collettivo, si parla esplicitamente di «motivazioni politiche». Invitano al “sit-in silenzioso” «chiunque sia interessato» al problema di una scuola compiutamente democratica. Studenti, docenti, personale Ata, cittadini. La posta in gioco, in assoluto, non è certo di poco conto. E l’aggettivo ha qualcosa di geniale: perché se davvero, anche solo per un’ora, tacessero le chat arroventate, si fermassero le proscrizioni, le interferenze, le strumentalizzazioni, potrebbe essere recuperato un interessante fondale acustico. Non è detto che ci si intenda, ma verrebbe più facile ascoltare.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-01-17 00:00:00 ,www.repubblica.it