Si continua a parlare dell’asteroide interstellare ‘Oumuamua, il “sigaro” che ha attraversato il nostro Sistema solare nel 2017 (e non ci ripasserà mai più) e che ha suscitato un enorme interesse nella comunità scientifica a causa delle sue interessantissime peculiarità, in primis una forma così bizzarra. Da dove viene ‘Oumuamua? Qual è la sua origine? Dove è diretto? Potrebbe essere – addirittura – il resto di un manufatto alieno? Se alle prime domande ancora non c’è risposta certa, almeno dell’ultima possiamo essere ragionevolmente sicuri: l’ipotesi dell’origine aliena dell’asteroide, formulata dal rispettabilissimo scienziato Avi Loeb, sembra infatti essere stata sconfessata da ulteriori osservazioni e approfondimenti. La notizia di oggi è la pubblicazione di un nuovo studio – per ora sul server di preprint ArXiv – che discute le implicazioni del passaggio di ‘Oumuamua sull’ipotesi della panspermia, secondo la quale gli elementi necessari alla vita siano distribuiti in tutto l’Universo (pan in greco antico significa tutto, e spermia significa semi) e che possano essere arrivati sulla Terra dallo Spazio profondo, magari proprio viaggiando su un asteroide come ‘Oumuamua.
‘Oumuamua: un identikit
Anzitutto, un rapido ripasso degli eventi. ‘Oumuamua è il primo oggetto interstellare (ossia esterno al nostro Sistema solare: il suo nome, in hawaiano, vuol dire proprio “il primo messaggero che arriva da lontano) ad averci fatto visita. Lo abbiamo avvistato alla fine di ottobre 2017 e abbiamo cominciato a studiarlo da subito: un lavoro pubblicato sulle pagine di Nature circa un mese dopo la prima osservazione ne ha descritto forma e dimensioni, evidenziando come l’oggetto fosse almeno dieci volte più lungo che largo, un rapporto fino ad allora mai osservato in qualsiasi altro asteroide o cometa del Sistema solare. ‘Oumuamua misura circa 400 metri per 40, ruota rapidamente (compie una rotazione completa intorno al proprio asse ogni sette ore e mezzo circa) ed è soggetto a cambi repentini di luminosità. Ha un colore rossastro, simile agli oggetti delle zone esterne del Sistema solare, ed è completamente inerte (non c’è traccia di polveri intorno a esso né di attività cometaria, come si pensava all’inizio); è piuttosto denso e composto probabilmente da roccia e metalli. Nessuna traccia di acqua e ghiaccio.
Da dove viene?
Come dicevamo, l’origine di ‘Oumuamua è ancora oggetto di discussione. I calcoli preliminari della sua orbita avevano suggerito che l’asteroide provenisse dalla direzione della stella Vega, nella costellazione settentrionale di Lyra; o meglio, in quella che ora è la direzione di Vega: i ricercatori responsabili del calcolo avevano infatti fatto notare che anche viaggiando a 95mila chilometri orari ci sia voluto così tanto tempo prima che l’asteroide arrivasse nel Sistema solare che Vega era da tutt’altra parte quando l’asteroide era lì vicino, circa 300mila anni fa. Una possibilità – anche suffragata dal fatto che lo Spazio è per la maggior parte spazio vuoto – è che ‘Oumuamua abbia vagato per la Via Lattea senza incontrare nessun sistema stellare per centinaia di milioni di anni prima di imbattersi nel Sistema solare. Una coincidenza molto fortunata, insomma.
L’ipotesi aliena
Secondo il già citato Avi Loeb, a capo del dipartimento di astronomia di Harvard, ‘Oumuamua aveva troppe bizzarrie inspiegabili perché si potesse affermare con certezza che fosse di origine naturale. Lo scienziato, insieme ad altri colleghi, ha pubblicato una serie di articoli sul tema e successivamente li ha raccolti in un libro, ipotizzando che una serie di anomalie dell’asteroide (per esempio i fatti che avesse una forma così diversa dagli altri, che riflettesse la luce molto più degli altri e che stesse leggermente accelerando man mano che si allontanava dal sole) fossero indice del fatto che si trattasse di una tecnologia aliena superiore che ancora non siamo in grado di comprendere. “Cosa succederebbe se un uomo delle caverne vedesse un cellulare? – ha ripetuto più volte l’astronomo – Avendo visto rocce per tutta la vita, probabilmente penserebbe solo che fosse una roccia lucente”. C’è da dire, tuttavia, che ulteriori studi e osservazioni hanno notevolmente ridimensionato la plausibilità di questa ipotesi, suggerendo invece la possibilità che l’asteroide sia un oggetto (naturale) espulso da un gigante gassoso, un grande pianeta dalle caratteristiche simili a Giove.
‘Oumuamua e la panspermia
Tra fatti più o meno acclarati e suggestioni più o meno intriganti, arriviamo ora allo studio appena pubblicato, a firma di tre scienziati della Thomas Jefferson High School for Science and Technology (Tjsst) e della George Mason University, attualmente in corso di revisione dei pari da parte degli esperti della American Astronomical Society (Aas). Gli esperti sono partiti da una semplice considerazione: l’arrivo di ‘Oumuamua ha mostrato che è possibile che un oggetto interstellare arrivi nel Sistema solare, ed è plausibile che l’evento sia già successo nel corso dei miliardi di anni di vita del Sistema solare; è lecito dunque chiedersi se gli ingredienti per la vita possano essere arrivati sulla Terra proprio viaggiando su uno di questi oggetti. L’idea è strettamente imparentata con quella della panspermia, secondo la quale qualche tipo di forma di vita – probabilmente batteri estremofili o simili, ossia esseri viventi in grado di sopravvivere in condizioni estreme – possa esistere e muoversi nello spazio interstellare. “La panspermia – ha spiegato a Phys.org David Cao, uno degli autori del lavoro – è un’ipotesi difficile da valutare perché è basata su molte variabili diverse, alcune delle quali ancora sconosciute. Per esempio, non conosciamo quale potrebbe essere la fisica dietro il fenomeno (quanti oggetti sono entrati in collisione con la terra prima delle più antiche evidenze fossili della vita?) e neppure quali potrebbero essere i fattori biologici (i batteri estremofili possono davvero resistere a radiazioni violentissime come quelle di una supernova?)”.
E ancora, dice sempre Cao: non sappiamo quale sarebbe la quantità di batteri estremofili che effettivamente sopravviverebbero a una collisione con la Terra, né se è effettivamente possibile che la vita si sviluppi a partire da estremofili alieni. Forse ci sono domande che neanche ci siamo ancora posti, il che “rende estremamente complessa una valutazione della teoria della panspermia”. In questo senso, l’osservazione di ‘Oumuamua è stata una manna dal cielo (letteralmente). Così come lo è stata quella, successiva di due anni, di un altro oggetto interstellare, la cometa 2I/Borisov. “L’osservazione di ‘Oumuamua, Borisov e simili – continua lo scienziato – è un nuovo punto di partenza per i modelli di panspermia: possiamo inserire nei modelli le proprietà fisiche di massa, dimensione e densità per calcolare, seppure in modo probabilistico e approssimato, il numero totale di oggetti che potrebbero aver avuto un impatto con la Terra negli ultimi 800 milioni di anni (ossia l’intervallo di tempo che intercorre tra la formazione del nostro pianeta e le prime prove della presenza della vita)”. Oltre a questi dati, Cao e colleghi hanno anche messo a punto un modello biologico che descrive qual è la dimensione minima che un oggetto interstellare dovrebbe avere per “schermare” gli estremofili da eventi astrofisici distruttivi come supernovae, raggi gamma, impatti con altri asteroidi e simili.
Un numero, finalmente
Con tutti questi modelli sottomano, l’équipe di Cao ha ricavato una stima per il numero di oggetti interstellari che potrebbero aver colpito la Terra prima della comparsa della vita: “Riteniamo che la probabilità massima che sia stata la panspermia a portare la vita sulla Terra sia di 10-5, ovvero lo 0,001%. Potrebbe sembrare molto bassa, ma bisogna anche considerare che ci sono (all’incirca) 4 × 109 pianeti nelle zone abitabili della nostra galassia, il che bilancia le cose”. Per comprenderci, è come se pensassimo alla probabilità di vincere al Superenalotto, che è praticamente prossima allo zero (10-9 circa), ma avessimo a disposizione 1013 schedine: vinceremmo certamente. “Abbiamo dunque un risultato di 105 potenziali pianeti abitabili su cui la vita potrebbe essere arrivata dallo spazio interstellare”. Va sottolineato, però, che la stima sul numero totale di pianeti abitabili è molto ottimistica: il numero potrebbe anche essere molto inferiore.
“Questi risultati non provano l’ipotesi della panspermia, né (ovviamente) pongono fine al dibattito dell’origine della vita sulla Terra – ha concluso lo scienziato – Tuttavia, potrebbero essere un buon punto di partenza per valutare la probabilità che sia arrivata ‘da qualche parte’ viaggiando su oggetti come ‘Oumuamua. In particolare, la probabilità che sia accaduto proprio sul nostro pianeta è molto bassa, ma il numero di altri pianeti su cui potrebbe essere accaduto è sostanzialmente maggiore”.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2024-01-22 05:40:00 ,