Anche basta. Un frullato di vanità, indifferenza e ferocia. Troppo anche per una società che non ha leggi contro il cattivo gusto perché l’ha convertito in un genere di consumo.
Basile Elena, 64 anni, da Napoli, una laurea in Scienze politiche all’Università Orientale, autopromossa (ex) ambasciatrice per meriti televisivi, che la sua carriera si fermò in realtà al grado inferiore di ministro plenipotenziario. Ma guai a farglielo notare se non si vuole essere accusati di linciaggio agli ordini della cupola burocratica. Perché la definizione è di uso comune e allora «se io sono un’usurpatrice, di usurpatori è pieno il ministero. Macchina del fango». E pazienza se la puntualizzazione viene dalla Farnesina perché «non si tratta di una mera distinzione formale, ma di una corretta informazione del pubblico, dal momento che l’appellativo di ambasciatrice incide direttamente sulla percezione di autorevolezza dell’interlocutrice». Impervio comunque darle torto, ché la modestia è un suo tratto distintivo: a lungo si è firmata con lo pseudonimo di Ipazia, matematica e astronoma nata ad Alessandria d’Egitto e trucidata come strega da una turba di fanatici religiosi.
Largo quindi alla libertà di pensiero e di parola, che merita di essere difesa per tutti, e per Elena Basile per prima. Eccolo, quindi, il suo pensiero: «Chi ha stabilito l’assioma per cui l’Ucraina è uno Stato democratico che combatte contro una dittatura?». «Zelensky manda 250 mila giovanissimi ucraini a morire per volontà della Nato». «I filo putiniani sono i veri filo ucraini, perché vogliono la fine dei massacri». «La tendenza bellicosa» della Russia è figlia «dell’espansionismo della Nato». E i terroristi di Hamas paragonati ai «carbonari del Risorgimento», che poi erano «terroristi» pure loro. Ancora: «È una brutta notizia che ci siano pochi ostaggi Usa in mano ad Hamas perché, se fossero tanti, gli Stati Uniti potrebbero avere un ruolo di moderazione». Che è come rammaricarsi perché la ferocia nazista è stata troppo timida, altrimenti gli Usa sarebbero intervenuti prima nel conflitto mondiale.
Ma lei, Basile, è «fiera di essere servitrice dello Stato», chissà quale, «non del meschino potere di cui altri sono schiavi». E poi, lo vogliamo dire, una buona volta, che è ora di finirla di «descrivere le democrazie occidentali come un giardino di rose e fiori?». Infine, c’è pure un aneddoto, raccontato da un fiero difensore dell’orgoglio putiniano, Alessandro Orsini. Scendendo da un palco, Elena Basile cade a faccia avanti. Orsini, da vero cavaliere, si affanna per aiutarla. Ma lei si rialza da sola, rivendicando: «Io sono un lupo mannaro!». Che vorrà dire, poi? Altri interpreteranno la parabola.
Ma succede che anche il gioco tragico dell’iperbole, per quanto cinica e spregiudicata, a un certo punto finisce di suscitare dibattiti furiosi, sdegno, riprovazione, e smette anche di animare lo sparuto manipolo degli ammiratori entusiasti. Subentra la noia, gli ascolti si abbassano, la pattumiera dove finiscono le brevi stagioni è già aperta. Ma Basile non è tipo da rassegnarsi, non ha studiato da ambasciatrice per niente. E lei pensa di avercela una storia che rimette tutti in piedi. Lo sfregio a Liliana Segre. Merita che venga riportato per intero, che non si perda la memoria, almeno quella di Google, di dove si cela la banalità del male. «Cara signora Segre, lei dice di non poter più dormire pensando ai bambini ebrei uccisi il 7 ottobre. Ma cara signora, possibile che lei sia tormentata solo dal pensiero dei bambini ebrei? I bambini palestinesi non la toccano? Come è possibile che la realtà che si sta sviluppando davanti ai suoi occhi non la colpisca? Da ebrea che ha vissuto nei campi di concentramento lei dovrebbe sentire il dolore di tutti gli oppressi e in particolare ora del popolo palestinese. Sa che i tedeschi erano molto buoni con i loro bambini? Anche loro avevano una morale che si rivolgeva ai tedeschi, agli ariani, ai bianchi, e non capivano, non sentivano nulla per la morte degli ebrei: lei vuole imitarli?».
Fa male anche soltanto dover spiegare che ha attribuito a Liliana Segre parole e pensieri falsi. A quella bambina divenuta nonna, che ha passato la vita a insegnarci il rispetto per l’umanità e per la libertà. «Provo pietà per tutti i bambini — aveva detto — che sono sacri senza distinzione di nazionalità e di fede, che soffrono e muoiono. Che pagano perché altri non hanno saputo trovare le vie della pace. Bambini uccisi per l’odio degli adulti, loro che sarebbero il futuro di popoli fratelli. Non c’è notte che non stia sveglia, io che sono una nonna disperata».
Ancora ieri, dopo tanta mistificazione, prima di chiedere alla fine «umilmente» scusa, Elena Basile ha pronunciato un’altra frase terribile rivolta a Liliana Segre e i suoi familiari: «Le vostre denunce e querele alimentano il clima d’odio e di antisemitismo». Per lei ci sono cose che giustificano l’antisemitismo.
A parziale consolazione ci viene in soccorso Gianni Rodari, con una favola. Un grossissimo e prepotente moscone lesse la notizia che era nato un piccolo ippopotamo e si disse: lui è piccolo, lo farò mio schiavo. Fino ad accorgersi, non senza umiliazione, che un piccolo ippopotamo è sempre più grande di un grossissimo moscone.
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roma.corriere.it
2024-02-08 06:18:31 ,