Il senso di colpa, la vergogna, il rimpianto per quello che non è stato fatto, i consigli mai ascoltati, il dolore imposto ai più vicini. “Non ero mai riuscito a chiedere scusa a mia madre per i reati commessi – racconta Davide – non al momento dell’arresto, non al processo e nemmeno ai colloqui”. Poi è arrivato il rap, il laboratorio settimanale al penale minorile di Catanzaro che l’ha trasformato in linguaggio noto e strumento per condividere quello che rimane dentro e rischia di diventare un ostacolo nel percorso di ricostruzione.
“Ho scritto una canzone per chiedere scusa a mia madre”
Davide, anzi Davo – questo il suo nome d’arte – arriva dal Nord. Ed è un ragazzo che ha fatto presto ad inciampare. “Andavo nei posti sbagliati, uscivo solo per fare cazzate – racconta nel suo pezzo – arrivavo a casa con i tagli”. È indagato, arrestato, condannato, alla madre – spiega – ha fatto girare tutta Italia, di minorile in minorile, per questo le canta “ti ho preso i biglietti per i posti più brutti”. E solo grazie alla musica ha trovato il modo di chiederle scusa per questo e tutte le ansie, le preoccupazioni, il dolore provocato, per prometterle che, adesso che il suo percorso è quasi al termine, tutto sarà diverso, che vuole un lavoro vero, guadagnarsi da vivere in maniera pulita, recuperare il tempo perso. “Ad ogni videochiamata ci penso a chiederle scusa, poi non ci riesco”, ha raccontato. “Allora ho scritto una canzone, così se la ascolta”.
Kento: “La musica è un territorio in cui tutto è possibile”
Non è l’unico che abbia imparato a raccontare in strofe cosa gli passi per la testa, i pensieri più intimi, quelli che li svelano fragili. “Anche un altro ragazzo ha lavorato a un pezzo del genere. La musica è un territorio in cui tutto è possibile”, dice Kento, al secolo Francesco Carlo, noto rapper e coordinatore del laboratorio musicale del Presidio Culturale Permanente all’istituto penale minorile di Catanzaro, un progetto messo in piedi dall’associazione CCO – Crisi Come Opportunità e sostenuto da Fondazione San Zeno, Fondazione Alta Mane Italia e Fondazione Con il Sud.
Due volte alla settimana, operatori, musicisti, fonici, educatori in appuntamenti condotti da Christian Zuin, Nancy Cassalia e Giuseppe Fazzari, e coordinati da Kento, incontrano gli ospiti dell’Ipm, insieme sviluppano un percorso, che è del singolo, ma anche collettivo. “Ho incontrato ragazzi che davanti ai giudici non hanno proferito una parola, sono stati granitici. Poi, basta dare loro una penna e un foglio per vederli condividere quello che hanno dentro e trasformarlo in cose bellissime”. Originario di Reggio Calabria, come tanti in città, Kento ne ha visti di coetanei inciampare, deragliare, perdersi. “Ogni ragazzo in carcere è un fallimento della comunità”, spiega. Per questo da tempo lavora negli Ipm, “sempre più pieni, dopo le ultime modifiche normative”, cercando di dare un’opportunità a chi ci è finito dentro. Anche di parlare con chi li ha condannati, di farsi ascoltare. “Quando abbiamo iniziato il laboratorio, un gruppo di ragazzi mi ha proposto di scrivere un testo per insultare i giudici. Dentro di me ho pensato. ‘Cominciamo bene’. Poi ho deciso di capire che piega potesse prendere la cosa, di comprendere fino in fondo cosa volessero dire”.
“I ragazzi hanno trovato un terreno per confrontarsi con quelli che consideravano nemici”
Scrivere un brano, soprattutto in tanti, richiede tempo, tocca confrontarsi. “Via via che si sviluppava il testo – spiega il rapper – il pezzo è diventato un modo per raccontare il loro punto di vista, per dire che sì hanno sbagliato, ma non sono diavoli irrecuperabili”. Poi è arrivato il saggio di Natale, in platea c’erano pm, giudici, poliziotti “esattamente quelli che volevano insultare. I ragazzi, inclusi alcuni che avevano commesso reati terribili a sangue freddo, erano emozionatissimi all’idea di salire sul palco”. Alla fine sono arrivati gli applausi, nonostante un testo che non arriva agli insulti, ma di certo non è tenero con i tanti presenti in platea. “I ragazzi hanno trovato un terreno anche per confrontarsi con quelli che consideravano i loro nemici”, racconta Kento. Per il rapper, è uno dei tanti esempi di come il progetto possa aiutare i ragazzi a crescere, mettere in discussione davvero la propria vita, decidere di cambiare rotta. Non è semplice perché i ragazzi sono detenuti, non possono certo andare a registrare fuori, né mostrarsi in un videoclip, ma d’altra parte se tanto lavoro non diventa nulla di concreto, smettono di crederci. “Tocca ingegnarsi – racconta il rapper – noi abbiamo portato lo studio di registrazione dentro”. E i pezzi alla fine vengono fuori. Quello di Davo, “Scusa mamma”, è stato prodotto da Kozoo. E chissà che non sia l’inizio di un percorso.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-04-06 09:16:13 ,www.repubblica.it