Uno dei reel più in voga del momento su Instagram è lo spezzone finale della storica pellicola: “C’eravamo tanto amati”. Quei brevissimi minuti concessi alla vita di un reel ritraggono un maturo Vittorio Gassman che seduto, quasi inginocchiato, davanti Stefania Sandrelli le confessa di averla amata tutta la vita nonostante non l’abbia mai cercata e nonostante sia stato legato da anni ad una donna per svariati motivi purché quello dell’amore. L’impatto di questo finale è tanto commovente quanto ben riuscito al regista Ettore Scola che non c’è da stupirsi se i diciottenni di oggi lo condividono sui loro profili Instagram. In fondo, è altamente probabile sia accaduto averlo: vissuto, sentito raccontare o semplicemente essersi emozionati davanti quel frame.
Ma vorranno saperne di più di questa pellicola che quest’ anno compie cinquanta anni quelli che ne fanno dei reel?
O l’informazione ormai è così veloce e tiranna da farci credere di aver visto un intero film pur averne visti solo pochi secondi sui social?
Gianni (Vittorio Gassman), Nicola (Stefano Setta Floris) e Antonio (Nino Manfredi), dopo aver militato nelle file partigiane ed avere maturato insieme ferventi ideali, “scoppiata” la pace si disperdono: Antonio fa il portantino al San Camillo di Roma; Gianni diviene avvocato; Nicola insegna a Nocera Inferiore, si sposa e lotta da idealista per un cinema che trasformi la società. Luciana (Stefania Sandrelli) è la ragazza che Antonio scopre e che Gianni prima gli strappa e poi abbandona per entrare, tramite matrimonio con la sempliciotta e brava ragazza: Elide Catenacci (Giovanna Ralli), nella famiglia di un costruttore edile senza coscienza sociale (Aldo Fabrizi). Elide è priva di guizzi emotivi, sorprese, sottigliezze umane, lucentezza intellettuale, il suo amore è convenzionale e i suoi contenuti sono di provincia. Ben lontana da Luciana, la quale gli continuerà ad apparire anche ad occhi aperti con le vesti e i modi di una protagonista della Nouvelle Vague. Sognante, tenera, appassionata di cultura , ma priva di quell’impalcatura borghese che poteva assicurare a Gianni: carriera, famiglia, figli. Come se la società si aspettasse da un uomo un sacrificatore e non un uomo felice. Assistiamo così al passaggio dei sogni, le scene in bianco e nero a quelle a colori in cui ogni cosa è pervasa da un ipocrisia borghese, che ferirà tutti.
Occasionalmente, ma sempre più raramente, i tre si incontrano. Dopo molti anni, quando gli eroi sono stati abbondantemente ridimensionati dal tempo e dalla società livellatrice, hanno modo di esaminarsi in occasione di un incontro imprevisto al quale prende parte anche Luciana che, alla fine, dopo anni di sofferenza per la sparizione di Gianni dimentica e sposa Antonio.
Il film è girato prima del boom economico in bianco e nero , e l’altra parte a colori. Curiosità del film è che la canzone “Io ero Sandokan” nonostante sia stata totalmente inventata per la colonna sonora della prima parte in cui i tre erano partigiani al fronte, si pensa sia un canto storico della resistenza. Il film descrive attraverso il viaggio di vita di tutti i suoi personaggi, momenti obbligati della storia italiana: aspirazioni, utopie, fame, benessere, battaglie culturali vissute e perdute regolarmente, rinunce, passioni, compromessi, vigliaccherie, vivere, cambiare o forse no.
Il film tratta l’ amore, la bellezza dell’amicizia e la possibile decadenza di queste assieme alla politica. Il regista firma la storia di una generazione con estetica e malinconia.
Parte iconica della pellicola della Deantir, ( quella che va per la maggiore sui social) è la scena finale in cui Gianni trova casualmente, durante un caotico presidio notturno di fronte una scuola elementare, un breve momento, (breve tanto quanto un reel ), di intimità in cui in pochi secondi tenta di spiegare a Luciana come il suo l’amore per lei non sia mai mutato nonostante tutti quegli anni.
Luciana ride, la sua vita è andata avanti, guarda Gianni quasi pensando sia uno scherzo. Ma uno scherzo non lo era affatto. La sua faticosissima opera di fingere ogni giorno per mantenere una facciata borghese, il puntare tutto sulla carriera, può veramente congelare quell’ energia elementare ma vitale che è l’ amore. Il sacrificio è vano .
Luciana così, quasi divertita dalle parole di Gianni, se anni fa per lui si sarebbe uccisa ora non si accorge neppure che egli si alza da innanzi a lei e scompare nella notte appena appreso che lei non solo smise di amarlo. Ma neppure credeva che egli lo stesse facendo ancora. Gianni ormai è un uomo ammalato di solitudine, cinico e nel pieno della sua carriera , un uomo ricco risolto che calcolò tutto nella vita. Tranne che quei trenta anni non sarebbero mai tornati. C’eravamo tanto amati è una commedia dolce amara da vedere a tutte le età, i suoi valori non hanno tempo, e il valore del tempo stesso arriva nel blocco finale come un nodo in gola difficile da mandare giù per qualsiasi generazione; in quanto valore eterno. Quella scena non separerà i figli degli anni settanta dai millennials, perché il tempo perduto tocca sempre tutti nel profondo, e nessuno ne scappa, è come la acquazzone.
Ci dispiace Gianni. E nonostante vorremmo capirti noi proprio non ci riusciamo .
Ben vengano così i centinaia di “reel” sul finale di questo film. Che ci ricordano anche un immenso Vittorio Gassman da uno sguardo irripetibile e un talento senza eguali.
Auguri quindi per i cinquanta anni di “C’eravamo tanto amati”.
Altro film da mettere in lista. A tutte le età.
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di Marianna Piccirillo
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2024-05-28 07:05:16 ,