La Cina avanza, dall’auto alle tecnologie verdi. E gli Stati Uniti rispondono alla sfida del rivale strategico affilando sempre più l’arsenale dei dazi e sforzandosi di capitanare una più dura risposta collettiva alle distorsioni dell’aggressivo “dirigismo” di Pechino da parte delle economie di mercato.
L’ultimo e simbolico campanello d’allarme: i produttori cinesi di veicoli hanno per la prima volta sorpassato nella classifica delle vendite globali gli storici marchi americani. Le statistiche sono della società di automotive intelligence Jato Dynamics: sulle strade del mondo nel 2023 sono arrivati 13,43 milioni di veicoli di Pechino contro gli 11,93 milioni di Detroit . Una posizione di vantaggio in un comparto reduce nell’insieme da una crescita dei volumi del 10% su base globale, del 12% in Usa e Canada, del 16% in Europa e 3% in Cina. E dove la Byd di Shenzhen sfida ormai la texana Tesla anche sui modelli elettrici. Non a caso è sugli EV che gli Usa giocano la partita forse più dura, con l’imposizione di barriere particolarmente alte imitati dagli europei.
L’auto non è un caso isolato: il settore manifatturiero a stelle e strisce teme come mai prima la capacità in eccesso sulla quale fa leva Pechino e, per esorcizzare lo spettro di neo-invasioni di prodotti a basso costo, chiede alla Casa Bianca di impugnare anche un’arma a lungo sepolta. La Sezione 421 – concepita all’ingresso della Cina nella Wto nel 2001 per creare temporanee barriere che ovviassero a traumi – è scaduta nel 2013 ed era stata usata, unica e ultima volta, da Barack Obama nel 2009 per salvaguardare produttori di pneumatici. Ora la Alliance of American Manufacturing invoca il suo ripristino per contrastare una Cina che, j’accuse a ogni livello tra industria e policymakers, distorce pericolosamente industria e commercio con la sua pesante mano statale.
Washington non si tira indietro. Il clima è quello della reinterpretazione di soluzioni protezionistiche per correggere la troppa enfasi sul libero scambio. Tanto più perché oggi Pechino assale frontiere d’avanguardia, quali appunto l’elettrificazione dei trasporti e transizione energetica. Inaugurata da Donald Trump con una bordata di balzelli nel 2018, che suscitò non poca sensazione e costernazione, è di fatto l’indiscusso verbo nella capitale. Un ethos comune a democratici e repubblicani, che promette rara continuità di là dei prossimi risultati elettorali, che siano riedizioni dell’amministrazione di Joe Biden o un riscatto di Trump.
Differenze non da poco, in realtà, esistono alle spalle della diffusa neo-fiducia nel ricorso ai dazi. Nei toni, meno guerreschi quelli di Biden, e nella sensibilità a alleati e multilateralismo, maggiore per il leader democratico. Al G7 in Italia Biden ha perorato, con parziale successo, un fronte volto a contenere Pechino. E dopo che gli Usa hanno deciso in maggio dazi quadruplicati al 1oo% sull’import di auto Ev cinesi, questa settimana l’Ue ha proposto nuove barriere dal 17,4% al 38,1% contro i veicoli elettrici made in China, aggiunti al 10% in vigore, fino a massimi del 48%. La Turchia, in ultimo, si è allineata con balzelli anti-Ev cinesi del 40%.