La sua missione è chiara e dichiarata: unire i democratici e dar loro la miglior chance alle urne di sconfiggere nuovamente Donald Trump. Kamala Harris, nel primo discorso pubblico da nuovo, probabile candidato presidenziale del partito, ha scelto un avvio soft della sua campagna. Ha reso omaggio a Joe Biden: parlando dalla Casa Bianca ad un evento dedicato ai campioni della pallacanestro universitaria, ha definito i successi ottenuti in un solo mandato “senza precedenti nella storia moderna”. Ma in quel messaggio si sono riflesse la sua fiducia nella rapida conquista della nomination e la sua strategia anti-Trump: da vicepresidente, Harris è stata a fianco di Biden. Adesso intende rivendicare un’America come nazione sana e in marcia, che chiede un leader capace di difendere una visione inclusiva e ottimistica. Non il Paese da rivoluzionare, cupo e in declino, dipinto dai repubblicani.
La sua campagna, Harris for President, ha già coniato i primi slogan, apostrofando il candidato repubblicano, noto per rabbia e volubilità tornate con forza nei suoi comizi, “leader mondiale nei capricci”. Slogan possibili perchè Harris ha ricevuto crescente supporto da esponenti del partito, delegati e donatori alla propria candidatura dopo il ritiro di Biden, che l’ha consacrata come sua erede. Almeno 16 governatori e quasi 200 parlamentari democratici di ogni credo si sono schierati per Harris, un numero che aumentava con il passare delle ore. In serata è arrivato il decisivo sì dell’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi, in precedenza favorevole ad un processo aperto a più candidati per sostituire Biden. “Con grande orgoglio appoggio per la presidenza degli Stati Uniti Kamala Harris. Il mio entusiastico sostegno è ufficiale, personale e politico”, ha detto senza lasciare ombre.
Di più: una delegazione statale dopo l’altra, dal Tennessee al Kentucky, ha reso noto in vista della Convention a Chicago del 19-22 agosto che appoggerà Harris, centinaia e centinaia di delegati in passato fedeli a Biden e ora pronti a consacrarla al suo posto, forse già in voti virtuali prima di arrivare a Chicago. E nessuno è uscito allo scoperto quale potenziale sfidante alla nomination. Fuori si è tirato anche il senatore indipendente ed ex democratico conservatore Joe Manchin, che nell’ultimo anno aveva accarezzato ambizioni presidenziali contro Biden.
Non mancano segnali di cautela, che potrebbero segnalare sfide interene irrisolte. Tra i più prudenti alcuni l’ esponente forse più autorevole del partito, Barack Obama: ha evitato di menzionare Harris nel rendere omaggio a Biden. Non è chiaro se nutra dubbi o piuttosto voglia semplicemente apparire neutrale vista la sua statura politica nel partito, come lo era rimasto nel 2020 prima di decisioni formali sul candidato, allora Biden. A carte coperte hanno ancora giocato i due leader dei democratici a Camera e Senato, Hakeem Jeffries e Chuck Schumer.
Ma a fare notizia sono soprattutto i sostenitori eccellenti, da figure di prestigio quali Bill e Hillary Clinton a numerosi potenziali aspiranti ad una nomina a vicepresidente accanto a Harris. Qui si contano potenti e popolari governatori: su tutti Josh Shapiro della Pennsylvania, JB Pritzker dell’Illinois, Gretchen Whitmer del Michigan, e Andy Beshear del Kentucky, ma anche Wes Mooore del Maryland, Roy Cooper della North Carolina, Tim Walz del Minnesota e Tony Evers del Wisconsin, fino a Gavin Newsom della California. Shapiro, Beshear, Cooper assieme ad un senatore dell’Arizona l’ex astronauta Mark Kelly, sarebbero in pole position.