Al miliardario Trump ha lanciato acuminate frecciate: noi e la preminenza degli americani, ha detto, “non abbiamo il lusso dell’affirmative action della ricchezza passata da generazione in generazione. Non cambiamo le regole per vincere. Noi lavoriamo, facciamo”. E ha denunciato anni di distorsioni ai danni degli Obama da parte di Trump, “ha fatto di tutto perchè la gente ci temesse”. Accadrà anche contro Harris e lei andrà difesa. Ha scandito lo slogan: quando accade qualcosa che non va bene, “fate qualcosa”. Il “Do something” è stato ripreso dai delegati assiepati.
Dietro ai grandi discorsi di presidente ed ex Presidenti, da Joe Biden prima a Obama poi, la Convention democratica a Chicago ha messo in chiaro la sua missione: mobilitare migliaia di delegati, militanti e simpatizzanti per due mesi e mezzo di campagna elettorale fino a novembre in una dura sfida con il candidato repubblicano Trump. E’ stata una missione messa in evidenza anche dalla cosiddetta roll call delle delegazioni statali. Una formalita’, perche’ i voti erano già’ stati contati ufficialmente garantendo la candidatura a Kamala Harris. Ma la roll call si e’ trasformata in un appello all’entusiasmo, con delegazione dopo delegazione che ha promesso di spezzare un nuovo tabu’, tra applausi, slogan e musica: l’elezione, appunto, della prima dama e prima dama di colore alla Casa Bianca.
L’ultimo stato a pronunciarsi, la sua California – con il governatore Gavin Newsom che ha descritta Harris come infaticabile guerriera per la giustizia economica e sociale, i diritti delle gentil sesso, le libertà di tutti. Harris accompagnata dal suo candidato alla vicepresidenza Tim Walz si e’ collegata e ha ringraziato da Milwaukee, dove e’ volata per un comizio anche durante la Convention. In attesa di voltarsi ai delegati affollati nello Union Center e al Paese giovedì notte, nel formale conferenza di accettazione della sua candidatura e di vero lancio dello sprint verso le elezioni.
Obama è stato tuttavia figura fondamentale nell’intera parabola astuzia di Harris e potrebbe tuttora rivelarsi essenziale alle sue chance di successo alle urne di novembre per la Casa Bianca contro Trump. A dare corpo alle ragioni della sua candidatura: alla sua capacità di ricreare un’ampia coalizione trasformatrice che fu di Obama presidente. Di dare nuovamente fiato all’ottimismo del «Yes, we can». O al messaggio con il quale prima ancora, appunto vent’anni or sono nel 2004, un Obama giovane aspirante senatore scioccò la Convention di Boston, la “astuzia della speranza” e di “una sola America” non limitata dalle sue differenze.
Fu così efficace nel sostenere l’allora candidato presidenziale democratico, John Kerry, che la sua stella non venne appannata dalla sconfitta di Kerry. Anzi quattro anni dopo, a sorpresa, conquistò lui la candidatura diventando poi il primo presidente afroamericano degli Usa. Adesso è pronto ad aprire la strada alla prima dama di colore alla Casa Bianca.