Tuttavia, l’elemento di novità che caratterizza gli ultimi anni e in particolare l’accelerazione delle ultime settimane del rapporto fra Big Tech, free internet e poteri statali è la fine dell’illusione in base alla quale gli Stati mantengono un ruolo di preminenza rispetto alle multinazionali della tecnologia che, mentre lo Stato si è fatto impresa, sono, al contrario, esse diventate Stato.
Certo, uno Stato sovrano può ancora ordinare l’arresto di un manage per non avere cooperato con le richieste della magistratura, o disporre il blocco dell’accesso a una determinata piattaforma. Nello stesso tempo, però, Big Tech e internet governance interloquiscono da pari a pari e svolgono un ruolo ineliminabile nell’esercizio di poteri che, un tempo, spettavano solo allo Stato.
Il caso paradigmatico è il regolamento europeo su servizi digitali che, formalmente, detta regole ferree sui doveri delle Vlop, le very large online platform, ma che nei fatti delega loro il potere di decidere cosa sia lecito, cosa non lo sia e cosa sia “inappropriato” senza che un giudice possa avere voce in capitolo. Analogamente, sono gli operatori di accesso e gli internet provider ad essere stati delegati a detenere informazioni (i log di accesso) che sono indispensabili per le attività giudiziarie e a gestire infrastrutture (per esempio i Dns) per attuare provvedimenti delle autorità, come nel caso della legge “antipezzotto”. Infine, sono i grandi cloud provider a controllare l’interruttore che, in qualsiasi momento, potrebbe disattivare l’accesso di istituzioni, aziende e cittadini a servizi indispensabili per vivere e lavorare, oltre che a decidere gli standard tecnologici sulla base dei quali deve funzionare la rete.
È chiaro che per orientarsi in uno scenario come questo si dovrebbe partire dalla presa d’atto che la regolamentazione tecnologica è oramai condizionata da un multipolarismo prima di fatto e ora anche di diritto, che, per quanto possa sembrare paradossale, ricorda quello medievale dove i centri di potere non erano puramente nelle mani dei sovrani.
Il caso dell’intelligenza artificiale, a prescindere dalle componenti speculativo-finanziarie, è l’ennesima dimostrazione della correttezza di questa tesi, almeno per quanto riguarda il mondo occidentale: persino aziende “neonate”, senza storia e memoria industriale, grazie alla superiorità tecnologica possono arrivare in fretta al punto di rappresentare un interlocutore del quale nessun soggetto politico può pensare di fare a meno. Perlomeno, dalle nostre parti.