Uglies parla di buoni sentimenti, di amicizia, amore, famiglia, affermazione individuale e anche di ecologia, rispetto per la natura e indipendenza di pensiero con una superficialità disarmante; è invece meticoloso, quasi devoto, nella messa in scena, particolarmente quando deve dar vita alle scene d’azione. La regia di McG è da videogioco, focalizzata su una successione infinita di riprese spettacolari – e protratte all’esaurimento – di base jumping, skateboarding, parkouring, freefalling. Il regista ricorre eccessivamente alla Cgi e niente è più ironico di una realtà che non esiste per dipingere una società dove non c’è niente di vero o consistente. Neanche i protagonisti lo sono. La facilità con cui Tally cambia idea e si redime istantaneamente abbracciando la causa ribelle dopo un decennio di lavaggio del cervello è poco plausibile. Oppure, spaventosamente sintomatico di quanto la generazione a cui è indirizzato Uglies sia volubile e malleabile.
Tuttavia, il problema principale di Uglies l’obsolescenza, ed è ridicolo – e imperdonabile – per un prodotto che si presenta dell’era dell’intrattenimento da fast food di cui lo stesso regista e produttore è promotore. La pellicola attinge a un genere – il YA distopico – ampiamente munto e sfruttato da Hollywood, si fa portabandiera di un messaggio vecchio e blando di anticonformismo a scapito dell’approfondimento dell’unico tema attuale, e vitale legato all’esasperazione dell’immagine personale. Non è abbastanza ridicolo o ironico per strappare una risata o abbastanza spettacolare per godersi come mero intrattenimento, né abbastanza originale esteticamente da incaponirsi nella cultura popolare. In più, è soverchiamente costoso, compiaciuto e conforme per conquistarsi la medaglia di titolo trash. Mai sincero, o profondo, o convincente, o provocatorio, o d’ispirazione, non ispira indulgenza perché ostenta costantemente la colpa dei suoi autori: fregarsene dei giovani a cui si rivolge.