Le Ali della Libertà lo abbiamo visto tutti almeno un paio di volte. Rimane uno dei film più amati e coinvolgenti degli anni ’90, uno di quelli capaci di portare una marea di emozioni in superficie in ogni spettatore. Uscito il 23 settembre 1994 per la prima volta in sala, tratto da un romanzo di Stephen King, il film di Frank Darabont rappresenta ancora oggi una scommessa su cui nessuno avrebbe puntato, che dopo tanto tempo si conferma tra le più universali mai vinte sul grande schermo.
Un film in cui neppure Stephen King credeva
Le Ali della Libertà dopo trent’anni ha ancora un posto di assoluto riguardo nel cuore del pubblico, che lo ha elevato al grado di film tra i più amati di sempre. E dire che non doveva essere così, almeno secondo Stephen King, autore del racconto breve originale, contenuto nel suo libro “Stagioni Diverse”. Quando Frank Darabont, che già aveva collaborato con Stephen King per realizzare la versione cortometraggio di “The Woman in the Room” e per la sceneggiatura di Nightmare 3, gli chiese di poter acquisire i diritti del racconto originale “Rita Hayworth and Shawshank Redemption”, King accettò sorpreso. Solo 5000 dollari, tanto chiese per quelle 96 pagine, cifra che poi in realtà restituì subito a Darabont, scherzando sul fatto che potevano servirgli per una possibile cauzione. Stephen King però aveva torto, Le Ali della Libertà sarebbe diventato un grandissimo film, Darabont vi aveva visto il seme per far germogliare un racconto che, nelle sue mani, diventò uno dei più grandi film carcerari di tutti i tempi.
Ma nella realtà quel film, incentrato sulla vicenda di Andy Dufresne (Tim Robbins), vice-direttore di Banca ingiustamente condannato per la morte della moglie e dell’amante di questi, costretto ad adattarsi alla terribile realtà del carcere di Shawshank, era molto di più di un film carcerario. Il genere aveva già regalato perle assolute come L’Uomo di Alcatraz di John Frakenheimer, Fuga da Alcatraz di Don Siegel. Ma Darabont capì che doveva diventare una storia in cui il crudo realismo si accompagnava alla fantasia, ai sentimenti, alla capacità di parlarci anche della investigazione della gioia e della libertà in senso universale. Ed ecco allora collegamenti con La Vita è Meravigliosa e Mr. Smith va a Washington di Frank Capra, persino Quei Bravi Ragazzi di Martin Scorsese. Il risultato finale fu un film fiume di 2 ore e 20, a maggior gloria di Tim Robbins, di un Morgan Freeman stratosferico, come il resto del cast di quest’odissea sorprendente e commovente.
Le Ali della Libertà fin da subito ci fa capire un principio base: i veri criminali non sono i detenuti. O la scelta migliore, non sono i peggiori, non rispetto al sadico direttore Samuel Norton (un fantastico Bob Gunton) e al capo delle guardie, il tirannico Capitano Byron Hadley (Clancy Brown). In quella prigione, i due hanno creato un regno fatto di violenza, tortura, corruzione e terrore, di cui fa le spese proprio Andy, che per due anni vive in un inferno di abusi a causa della gang delle “Sorelle” capitanate dal crudele Bogs (Mark Rolston). Poi un giorno, in cui assieme ad altri detenuti come Red Redding (Morgan Freeman), Heywood (William Sadler) sta sistemando il tetto, ha l’intuito di offrire una consulenza finanziaria proprio ad Hadley, facendogli risparmiare 35mila dollari. In cambio fa arrivare le birre ai suoi compagni. Da quel momento Le Ali della Libertà lo vede diventare sempre più legato a Red ed altri detenuti, ma anche finire coinvolto dal sadico Direttore Norton.
Questi lo farà diventare suo contabile, in cambio di un miglior tenore di vita. Ma è proprio nel momento in cui migliora la sua posizione, che Andy si rende conto di quanto il sistema carcerario sia una via senza uscita per i detenuti, compresi quelli che, come Red, si sono assunti la responsabilità del loro crimine. Non esiste alcun principio di affrancamento per i detenuti, non esiste neppure un programma di reinserimento, si viene “istituzionalizzati”, come gli spiega Red, al punto che usciti di prigione alla fine della pena o magari per uno sconto, non si sa che fare. Sarà questo il destino, per esempio, di Brooks Hatlen (James Whitmore), che da anni è responsabile della biblioteca del carcere. La libertà vigilata lo vede solo, umiliato dalle persone normali, ed infine suicida. In quel momento Le Ali della Libertà diventa un film diverso da ciò che si pensava, ci fa comprendere la natura reale della libertà: un regno della mente.
Oltre il carcere, cercando una libertà impossibile
“C’è qualcosa, dentro di te, che nessuno ti può toccare… né togliere, se tu non vuoi”. Andy parla di speranza a Red, che vorrebbe uscire dopo tanti anni, ma che sa che è molto difficile che ciò succeda e sa che la speranza può anche significare la fine per un uomo. Le Ali della Libertà si muta quindi un racconto sulla investigazione della gioia, contro un mondo crudele, ingiusto, un mondo dove la legge è mezzo di peso, dove lo Stato è il nemico, dove il “Sistema” è fatto apposta per far sì che nulla cambi mai, non veramente. Tutto questo ci arriva da dialoghi interpretati in modo superbo dal cast, con la voce narrante di Morgan Freeman che non è mai superflua o di esorbitante, ci illumina su una vita intera rubata, anzi vite intere. Perché la realtà è che più si avanti nel film, più Le Ali della Libertà ci fa capire che spesso è anche solo questione di fortuna o della sorte, fare scelte giuste o sbagliate nella vita. La libertà per Andy diventa infine quella di far studiare altri detenuti, di fornire a loro un diploma e la possibilità di avere un futuro che sia diverso.
Leggi tutto su www.wired.it
di Giulio Zoppello www.wired.it 2024-09-23 04:40:00 ,