Non aprite quella porta dopo 50 anni continua ad essere un momento cinematografico fondamentale, non solo all’interno del genere horror, ma come simbolo di una connessione profondissima tra settima arte, società e rappresentazione di quest’ultima. Opera tanto radicale da suscitare censure e proteste, il film di Tobe Hopper è uno dei simboli di cambiamento ed evoluzione del linguaggio cinematografico più importanti del nostro tempo, un pilastro che ogni amante dell’horror conosce a menadito.
Cinque ragazzi persi dentro l’orrore dell’America profonda
Ci sono momenti nella storia del cinema in cui tutto cambia, senza preavviso e senza che nessuno lo possa prevedere, senza neppure una grande forza produttiva, nomi altisonanti o un budget smisurati. Pochissimi film sono talmente connessi a questa definizione quanto Non aprite quella porta di Tobe Hopper, uscito in sala esattamente 50 anni fa nelle sale. Fu capace di innescare polemiche ferocissime, di terrorizzare il mondo e cambiare radicalmente non solo il genere horror per come lo conoscevamo, ma il rapporto tra mercato e cinema indipendente. Per questo il pubblico non ha mai smesso di amarlo, così come di indicarlo come prototipo a cui il genere si è ispirato tantissime altre volte, e continua a farlo ancora oggi. Non aprite quella porta nel corso degli anni è diventato un film di culto, di analisi e studio, non solo per come ha rinnovato la rappresentazione della paura e dell’orrore, non solo per la sua regia e la composizione, i suoi punti cardine. Si fece motore di un nuovo concetto di immedesimazione e verosimiglianza che oggi domina.
Registi del calibro di William Friedkin, John Milius, Ridley Scott o Wes Craven, lo hanno indicato come uno dei film più rappresentativi dell’identità americana. E si badi bene che tale definizione non riguarda dimessamente il contesto storico in cui uscì, ma più ancora il concetto di paura singola e collettiva, la contrapposizione tra le diverse anime che tuttora il paese interpreta in modo violento, e di cui Non aprite quella porta fu da subito indicato come palese rappresentazione. L’horror da quel momento sarebbe stato legato allo slasher, il nuovo paradigma espressivo, avrebbe fatto sì che sulla carne, il sangue, le grida delle vittime, corresse una paura in grado di scavare dentro la nostra irrazionalità ed emotività più profonde, di trovarci sempre e comunque lì ad ammirarle. Ed appare chiaro che parliamo di quella violenza e di quella paura che hanno forgiato l’America e Proseguono a farlo ancora oggi, ogni volta che la conflittualità riemerge senza freni e pose, e di cui il cinema e la televisione rimangono tempio di rappresentazione assoluta.
Non aprite quella porta aveva un budget bassissimo, ma qualcosa che ancora oggi non ha prezzo: la forza delle idee. A guardarlo ancora oggi, a cinque decenni di distanza, contiene un numero incredibile di intuizioni geniali, con cui Hopper stravolse la stessa concezione di racconto horror. Fino a quel momento, l’orrore avevo avuto maestri in grado di renderlo soprattutto connesso al concetto di tensione, di ignoto, di indefinito, il paradigma rimaneva fino a quel momento Psyco di Alfred Hitchcock, non a caso parimenti ispirato alle triste gesta del serial killer Ed Glein. Assassino e necrofilo, ne utilizzava parti del corpo per creare mobili, decorazioni. Non aprite quella porta ci guida sulle strade di un Texas afoso, assolato, in cui i segni della morte e della follia circondano il cammino di cinque ragazzi, arrivati per visitare un cimitero. Non possono neppure immaginare che quella scampagnata, diventerà un’atroce agonia, a causa di una famiglia di redneck cannibali e soprattutto di lui: Leatherface.
A cinquant’anni di distanza Gunnar Hansen, armato di quella maschera cadaverica, la motosega elettrica, intento a maciullare corpi, orribile e fragile assieme, mostro deforme e pietoso, vanta una progenie di discepoli cinematografici infinita. In lui si materializzò una violenza carnale, fisica, radicalmente staccata da una qualsiasi analisi psicologica, egli è il male nel senso più illogico, supremo, spaventoso e selvaggio. Il che però non lo rendo per questo è privo di significati più profondi dietro la sua estetica così realistica, così brutalmente quotidiana, anzi. Non aprite quella porta infatti, già cinquant’anni fa si capì che metteva in scena lo scontro tra le due anime dell’America di quegli anni. Dentro vi era la conflittualità eterna tra interno ed esterno del paese, tra passato e presente che distruggeva i pilastri della società, metteva in scena uno scontro generazionale, diventava infine anche metafora storica della parte più oscura da sempre presente dentro la storia e le azioni dell’America.
L’eredità di un horror che ha cambiato tutto per sempre
Dal punto di vista cinematografico, Non aprite quella porta lanciò il concetto di mockumentary. Hopper avvisa gli spettatori che tutto quello che vedono è la riproduzione di qualcosa di reale. Non è vero, ma il tono stesso, ma la soprattutto l’estetica del film, con le riprese a spalla, gli angoli così inconsueti, lo stringersi addosso ai corpi, volti, la stessa colonna sonora così atipica, ma anche l’aver utilizzato un cast di attori agli esordi o non famosi, tutto questo persegue una sola finalità: la verosimiglianza. Fu soprattutto tale dimensione a lasciare il pubblico terrorizzato, colpito come non era mai successo fino a quel momento. Hopper gioca con il suo pubblico, l’orrore che gli propone è molto più visivo che in passato, ma lo è fino a un certo punto, egli lascia sempre spazio alla fantasia dello spettatore perché completi il sanguinoso puzzle, mentre ma ci guida dentro questa famiglia cannibale, mostruosa. Quella che mette in scena Non aprite quella porta è una perfetta decostruzione dell’America rurale, distante dalla narrazione cinematografica.
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di Giulio Zoppello www.wired.it 2024-10-11 04:30:00 ,