Perché Israele spara contro i caschi blu in Libano? Secondo i vertici di Tel Aviv, la missione Unifil ostacola le operazioni belliche contro le milizie sciite filo-iraniane di Hezbollah. Un’accusa che ha assunto giovedì 10 ottobre i contorni di un attacco militare diretto alle postazioni dei peacekeepers lungo il confine israelo-libanese.
Carri armati e soldati israeliani hanno deliberatamente aperto il fuoco contro il quartier generale dell’Unifil a Naqoura e contro le basi italiane Uno-31 e Uno-32A, come denunciato dal portavoce della missione Onu, Andrea Tenenti. Il bilancio è di due caschi blu indonesiani feriti, precipitati dalla torre di osservazione centrata dai colpi dei tank Merkava, e danni a veicoli, sistemi di comunicazione e telecamere di sorveglianza. L’11 ottobre l’esercito israeliano ha sparato contro un punto di osservazione della forza di pace Unifil nella base principale di Naqoura, nel Libano meridionale, ferendo due persone, riporta l’agenzia pubblicazione di Reuters. Le forze israeliane avrebbero anche violato il perimetro di un’altra postazione dell’Unifil.
Verso la Blue line
“Le ferite dei due militari sono fortunatamente, questa volta, non gravi, ma rimangono in ospedale“, ha spiegato Tenenti all’Ansa. Non solo. “Ieri (giovedì 10 ottobre, ndr) i soldati israeliani hanno deliberatamente sparato e disattivato le telecamere di controllo del perimetro” delle basi Unifil. E nella base italiana 1-31 hanno colpito l’ingresso del rifugio dove si erano riparati i peacekeepers. L’obiettivo di Israele, messo nero su bianco dall’messo all’Onu Danny Danon, è quello di costringere i caschi blu a “spostarsi di 5 chilometri a nord per scansare pericoli mentre i combattimenti si intensificano” lungo la Blue Line. In sostanza, sgomberare il campo per avere mano libera negli scontri con Hezbollah, in corso da un anno ma drammaticamente acuitisi da fine settembre con l’invasione di terra israeliana nel sud del Libano.
La Blue Line è la linea di demarcazione per assicurarsi del ritiro di Israele dal Libano fissata nel 2000 dall’Onu. È segnata da una serie di bidoni di colori blu ed è tuttora oggetto di contesa da parte di Tel Aviv, che non vuole retrocedere oltremodo. Come racconta Il Corriere della Sera, mano libera sulla linea di confine, costringendo la missione Unifil al ritiro, permetterebbe a Israele di compiere una manovra a tenaglia contro il sud del Libano.
Le reazioni internazionali
Ma i vertici della missione Onu non ci stanno a farsi dettare l’agenda da Israele e rivendicano il proprio mandato, sancito dalla risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dopo la guerra del 2006. “Siamo lì perché l’Onu ci ha chiesto di esserci. Quindi restiamo finché la situazione non diventerà impossibile per noi operare”, ha chiarito Tenenti a Reuters. “Restiamo nelle nostre basi a fare il nostro dovere, nel perimetro della nostra sicurezza, fin quando ci sarà consentito“, gli hanno fatto eco fonti militari italiane citate dall’Ansa. Il contingente tricolore, con circa 1.200 uomini ,è il più numeroso della forza Onu e non intende abbandonare le proprie posizioni nonostante il fuoco israeliano.
Dura la reazione del governo Meloni, che per bocca del ministro della Difesa Guido Crosetto ha definito gli attacchi ai caschi blu “inammissibili“. “Né l’Onu né l’Italia prendono ordini da Israele“, ha tuonato il titolare del dicastero, convocando l’messo designato dello stato ebraico per protestare. La Francia si è spinta a evocare possibili “crimini di guerra“, mentre gli Stati Uniti si sono detti “profondamente preoccupati“ e hanno chiesto a Israele di non mettere a repentaglio l’incolumità dei peacekeepers.
Sulla carta, la risoluzione 1701 vieta la presenza di armi e miliziani non statali nel sud del Libano. Ma Israele accusa da tempo l’Unifil di chiudere gli occhi davanti alle attività di Hezbollah nell’area e di sbarrare le sue “operazioni anti-terrorismo“. Accuse rilanciate nelle scorse settimane dal governo di destra di Benjamin Netanyahu, che ha fatto della guerra aperta agli “agenti iraniani” di Hamas e Hezbollah uno dei suoi cavalli di battaglia. Con il rischio di trascinare i caschi blu in prima linea.