Dall’incontro tra biologia, chimica, scienza dei materiali e nanotecnologie nasce un nuovo modo per fare agricoltura. Per la prima volta, però, nessun drenaggio di risorse: le si rubano “solo” idee e metodi per migliorare la produzione, agendo a livello atomico. Anche in Italia lo chiamiamo “nature co-design”, non lo abbiamo ancora tradotto, ma lo stiamo già sperimentando, a Venezia, anzi, a VeniSia (Venice Sustainability Innovation Accelerator).
Questo hub aiuta corporate lab e startup e attiva nuovi potenziali di mercato sin dal 2021, scommettendo solo su tecnologie “dirompenti”. Oggi lo sono quelle che copiano la natura in ogni suo microscopico dettaglio: secondo Bcg (Boston Consulting Group) entro 30 anni impatteranno su un giro d’affari superiore a 30.000 miliardi di dollari. Secondo il World Economic riunione creeranno opportunità commerciali per 10.000 miliardi di dollari ogni anno e 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030.
Dal vertical al futuro della produzione
Questi dati promettenti sono un trampolino di lancio ideale per la Future Farming Initiative che il ceo Daniele Modesto ha lanciato da VeniSia, iniziando a “perturbare” i settori più pronti e ricettivi. “Per la farmaceutica, la chimica, l’agricoltura e l’industria alimentare, come per la scienza dei materiali e il manufacturing, gli effetti di questo nuovo paradigma di produzione supereranno quelli provocati in passato dalla digitalizzazione” spiega. E prima di raccontarli impone un passo indietro per mettere ordine tra i nuovi trend che intrecciano natura e tecnologia e si intrecciano anche tra loro.
Nell’iniziativa guidata da Modesto convergono infatti il principi del nature co-design e la “controlled environment agriculture”, la produzione in ambienti controllati che massimizza la resa, riduce il consumo di risorse naturali ed elimina pesticidi. “Solo così si riesce a passare da un approccio estrattivo a uno generativo – spiega – il future farming è un concetto ben diverso dal vertical farming perché lo stesso ordine si estende anche a funghi, batteri, insetti e alghe e si integrano tecnologie come la biologia sintetica e la fermentazione di precisione, l’elettronica avanzata e la robotica”. Fondamentali anche AI, data science e supercomputing, “data la mezzaluna quantità di variabili in gioco e l’enorme numero di combinazioni possibili” precisa Modesto.
Biofabbriche di immunizzazioni e imballaggi in polvere
Tanto è disruptive il paradigma “coltivato” nella prima biofficina d’Europa, VeniSia, che si fatica a scegliere esempi di progetti concreti che non passino per racconti di fantascienza. Modesto prova a inspirare sull’utilità del molecular farming che usa le piante di tabacco per ottenere immunizzazioni, biofarmaci e proteine alternativi a quelli di origine animale o a quelli eccessivamente costosi. “Si inizia in laboratorio, con un processo di trascrizione genetica di specifici batteri in grado di trasformare le piante in biofabbriche, istruendole dettagliatamente su come produrre ciò che si desidera” spiega. Non ci sono numeri per un mercato così all’esordio, ma Modesto racconta di “nuovi immunizzazioni in poche settimane”, soprattutto con il vertical farming, che assicura un contesto efficiente e pulito in qualsiasi area si operi, anche se in via di sviluppo o con condizioni climatiche poco favorevoli.
Sempre trasferendo cultura dalla caccia alle imprese con alleanze strategiche in entrambi i mondi, la Future Farming Initiative sta lavorando a dei nuovi bio-imballaggi. “Vogliamo sostituire il polistirene con materiali ricavati dagli scarti alimentari, adattabili ed efficienti – afferma Modesto – abbiamo già ottenuto una polvere che ogni fruitore può trasformare in un imballaggio della forma desiderata, nel luogo e nel momento in cui gli serve”. Oltre che ambientale, il vantaggio di questo progetto è anche logistico: il volume del materiale da trasportare si riduce drasticamente e il numero di viaggi necessari anche. L’impatto non è ancora misurabile ma presto lo sarà, dato che il progetto ha già attirato alleati industriali interessati a sperimentarlo.
I distretti del futuro, puzzle di innovazione
Con la stessa logica di rigenerazione alla base di questi progetti, Modesto ne sta curando uno ancora più grande e complesso: la rigenerazione circolare di interi distretti industriali in disuso. L’idea è quella di prendere una serie capannoni di ex fabbriche e creare una rete di “future farming district” in cui integrare diverse attività sostenibili, senza soluzione di continuità. Un gioco all’incastro di tecnologie innovative con regole dettate dall’economia circolare in cui i rifiuti di un processo diventano ogni volta risorsa pregiata per un altro. “L’aiuto scartato durante la produzione di idrogeno, per esempio, viene usato per l’acquacoltura, e il calore emesso per supportare il bilancio energetico dell’intero district” racconta Modesto, impegnato a rifinire il primo di questi distretti, in arrivo nell’area di 130 mila metri quadri dello stabilimento di Figline-Incisa di Firenze, dismesso dal 2018. Modesto lo considera “il potenziale inizio della re-industrializzazione di cui il nostro Paese ha bisogno, perché unisce transizione verde e energetica, e stabilizza la rete energetica nazionale, facendo da ammortizzatore in caso di picchi e crolli del sistema”.
Un’illusione “fuori luogo”, se il luogo in cui la si vuole implementare è un Paese come l’Italia, con aree in cui ancora mancano infrastrutture it di base? No, assicura Modesto: “lo sviluppo tecnologico a cui lavoriamo non è riservato all’élite. Lo abbiamo voluto accessibile a tutti ‘by design’ e ne stiamo condividendo le pratiche anche in aree in via di sviluppo. La vera innovazione sostenibile deve democratizzare l’accesso al futuro”.
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di Marta Abbà www.wired.it 2024-10-16 04:50:00 ,