Marte è la prossima frontiera dell’umanità, la sola idea di poterlo raggiungere è bastata a riaccendere una vecchia fiamma: la Luna. Se ad andarci, “ormai sono capaci tutti”, oggi la vera sfida è trasformarla in un hub di sperimentazione tecnologica per disegnare missioni spaziali sostenibili. “Oggi non lo sono, ma quelle a lungo termine, in futuro, lo dovranno per forza diventare e bisogna iniziare a lavorarci subito”. Le parole di Aarti Holla-Maini, direttrice dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Spaziali Esterni (UNOOSA), non lasciano vie di fuga. Aprendo così l’incontro dedicato all’”esplorazione spaziale responsabile e sostenibile” dell’International Astronautical Congress in corso in questi giorni a Milano (Iac2024), mette subito in chiaro che l’unica domanda a cui serve rispondere non è se, o quando, ma come. Il secondo punto fermo è che la sfida riguarda tutti, governi e aziende, scienziati e letterati. “Quando andiamo nello Spazio, tutti siamo soltanto ‘abitanti della Terra’ – aggiunge – ancora oggi è una missione pericolosa, complessa e costosa, ma le criticità che incontriamo ci mostrano cosa cambiare per migliorare il nostro domani”.
Non dividere
Anche con i “potenti mezzi” di cui oggi la stessa Nasa dispone, può infatti ancora capitare di mettere in pericolo vite umane. I suoi due astronauti Butch Wilmore e Suni Williams sono rimasti sulla Stazione Spaziale Internazionale otto mesi invece che otto giorni, per “problemi tecnici”, per esempio, ed è successo solo lo scorso giugno. Questa mancata tragedia, secondo Holla-Maini rassegna “l’urgente bisogno di standard comuni e tecnologie interoperabili, per favorire il progresso, ma soprattutto perché lassù dovremo sempre essere in grado di aiutarci a vicenda” spiega, e chiede “collaborazioni internazionali, per stabilirli al più presto”
“Sulla Terra stiamo cercando di interconnettere satelliti, elicotteri, navi e ogni altro tipo di mezzo, con l’intelligenza artificiale che fa collante, ma ogni stato vuole la propria sovranità sia sulle tecnologie che sui dati. Lo spazio è una situazione estrema, dobbiamo renderci conto che non possiamo permetterci di fare lo stesso” spiega Roberto Cingolani, amministratore delegato e direttore generale di Leonardo.
Le sue parole sono un assist per Pam Melroy che, in veste di vice amministratore Nasa, spiega il perché del mezzaluna coinvolgimento di privati nei propri programmi: “vanno inclusi perché serve la massima ridondanza di opzioni. Nello Spazio, ancora più che sulla Terra, serve ‘collaborate to compete’”. Chi non la vuole capire, secondo Melroy “si convincerà presto, perché sarà una questione di contratti. Noi dobbiamo pretendere l’interoperabilità e gli standard, e chi non accetta queste condizioni, non ne firmerà. È l’unico incentivo che funziona e lavorare tutti assieme ora è estremamente necessario”.