Teodoro Valente, presidente dell’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), aggiunge; “Abbiamo tutte le competenze industriali, accademiche e ingegneristiche che servono per essere tra i protagonisti delle prossime missioni spaziali. Lo confermano i contratti che l’Italia ha quando firmato all’International Astronautical Congress in corso in questi giorni a Milano (Iac2024), per l’osservazione di asteroidi, per nuovi sistemi lunari e per il primo lander europeo che raggiungerà questo satellite”.
Tutto in casa
La capitale dell’industria spaziale oggi però è Torino, qui Argotec continuerà a produrre microsatelliti da 70 chili, “cubetti” da circa 50 centimetri di lato, con un approccio “all in house” che le garantisce massimo controllo del processo, minima fragilità della supply chain e tempi ridotti. “Nella nostra clear room da 1000 metri quadrati, una delle poche al mondo di forma circolare, prima li montiamo e poi li testiamo, simulando basse temperature e vibrazioni simili a quelle durante il lancio – spiega Valerio Di Tana, responsabile dei programmi di Argotec -. Una volta certificati, li lanciamo in orbita e dal mission control center riceviamo i dati”. La vera innovazione, aggiunge, “è la possibilità di elaborare le immagini a bordo e mandare direttamente e velocemente le informazioni utili sia alle istituzioni che alle aziende clienti”. Poi cita la tragedia del ghiacciaio della Marmolada del 2022 e la osservazione sulla crisi climatica, per spiegare una delle tante opportunità offerte dai microsatelliti, “ma ce ne sono anche per l’agricoltura di precisione, per la difesa e per i governi di tutto mondo” precisa.
Più satelliti, meno cemento
Servono tanti microsatelliti e automatizzarne la produzione è l’unica strada, secondo Di Tana, “anche per fuggire errori umani, i più complessi da gestire in orbita, e minimizzare il numero di detriti”. Argotec sottolinea il suo impegno per la sostenibilità spaziale, ma la nuova sede far mostra di la sua attenzione anche per quella terrestre. Situata nell’iconica ex Cartiera Burgo, progettata dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, la struttura circolare quando inaugurata è una scelta futuristica affascinante, ma anche etica e ambientalista. “Ristrutturandola, abbiamo risparmiato 6.000 metri quadrati di suolo, evitando di versare 5.500 metri cubi di cemento”, precisa Avino.
Aggiunge che accanto ai laboratori c’è spazio anche per l’innovazione. Space Park non è infatti solo una “fabbrica di microsatelliti” ma un vero e proprio hub per la osservazione e l’innovazione dove accogliere anche start-up e ricercatori. “Li aiuteremo a migliorare i loro prototipi, invitandoli a far parte della nostra roadmap tecnologica – racconta Avino -. Abbiamo anche fatto rientrare dall’Olanda una startup italiana, offrendole laboratori e attrezzature che altrimenti non si potrebbe permettere. Lo spazio deve diventare la nuova frontiera del Made in Italy. Forse un giorno andremo davvero a vedere cosa c’è nei buchi neri, sicuramente oggi siamo già nella giusta direzione per tornare sulla Luna, e poi andare su Marte”.