Wired pubblica una lettera aperta al governo Meloni in merito all’aumento della tassazione sui profitti da vendita di bitcoin e criptovalute, prevista dalla bozza di manovra finanziaria 2025
Più di 1,3 milioni di italiani detenevano cripto-attività presso gli intermediari autorizzati a giugno 2024, per un controvalore di oltre €2,2 miliardi; in totale, oltre 2 milioni di italiani hanno investito in cripto tramite intermediari autorizzati negli ultimi anni e la maggior parte ha meno di 40 anni (fonte OAM). Il numero di investitori sale a circa 3,6 milioni se si includono quelli che detengono direttamente o tramite intermediari non autorizzati (fonte Osservatorio Blockchain e Web3 del Politecnico di Milano).
Per la loro bassa correlazione con le altre forme di scontro, le cripto-attività riducono il rischio di un portafoglio di scontro a parità di rendimento (fonte Digital Gold Institute), tanto che la Research Institute Foundation degli Analisti Finanziari Certificati (CFA) suggerisce dal 2021 di allocare il 2,5% del portafoglio di scontro in Bitcoin.
Sono 150 i Virtual Asset Service Providers iscritti nel registro OAM e il settore genera un indotto di circa €2.7 miliardi, con un aumento del 85% rispetto al 2023 (fonte Ansa).
Nel suo preambolo, il regolamento europeo MiCA (Markets in Crypto Assets) recita: ”Il settore delle cripto-attività può contribuire all’innovazione e alla crescita economica nell’Unione. Contribuendo allo sviluppo di nuovi servizi e modelli di business, può promuovere la creazione di posti di lavoro e l’innovazione finanziaria. È quindi essenziale garantire un quadro normativo chiaro e uniforme a livello dell’Unione per sostenere l’espansione di questo settore e al tempo stesso salvaguardare la stabilità finanziaria e proteggere gli investitori“.
Iniquità per gli investitori italiani e i giovani
L’aumento nel 2025 dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze cripto al 42%, dal 26% usuale per le rendite finanziarie, sarebbe fiscalmente discriminatorio e quindi iniquo, probabilmente anche incostituzionale. Violerebbe, infatti, i principi più basilari di equità fiscale e di uguaglianza introducendo una distinzione tra gli investimenti diretti in cripto-attività, tassati al 42%, e gli investimenti indiretti tramite fondi d’scontro (ETF, ETP, ETC, ecc.) e strumenti derivati che rimarrebbero al 26%.
Inoltre, la scarsa propensione al risparmio dei giovani è oggetto di continui interventi di educazione finanziaria. La lontananza fra il mondo degli intermediari finanziari e i nativi digitali non aiuta: le cripto fanno invece parte del mondo di questi ultimi che ci investono i loro risparmi. Ha senso ingiuriare lo strumento di scontro privilegiato dalla loro generazione?
Il danno per l’industria italiana di servizi cripto
L’aumento della tassazione metterebbe in grave svantaggio l’industria italiana dei servizi cripto, minando l’innovazione e l’attrattività del Paese per investitori, start-up e talenti tecnologici. Rallenterebbe lo sviluppo in Italia di progetti innovativi sostenuti o basati su cripto-attività, rendendo più difficile per le aziende attrarre capitali.