L’unico ad avercela quasi fatta a sconfiggere la morte fu Orfeo, che dopo aver tanto brigato per riavere la sua Euridice, strappata alla vita dal morso di un serpente, riuscì a convincere gli dèi a restituirgliela. Ma quando il più sembrava ormai fatto, ecco l’inciampo: il musico non riuscì (o non volle, come suggerirà molti anni più tardi Gesualdo Bufalino nel formidabile Ritorno di Euridice) a obbedire all’unica condizione che gli era stata posta, ossia di precedere la sua amata e di non voltarsi mai indietro finché entrambi non fossero usciti dall’Ade. Fatto sta che Euridice fu nuovamente inghiottita dagli inferi, questa volta per sempre. Di storie che trattano in salsa diversa lo stesso tema – il tentato ricongiungimento tra vivi e morti, che è evidentemente un tema universale, che riguarda e interessa e fa struggere tutti – sono piene la musica, la letteratura, il teatro, il cinema: uno degli ultimi e più noti casi, per fare un’ellissi temporale di oltre due millenni rispetto ai primi riferimenti documentati del mito di Orfeo ed Euridice, è Torna da me, una puntata di Black Mirror del 2013 in cui una ragazza ha l’opportunità di ritrovare il suo promesso sposo, finito in un incidente stradale, nelle sembianze di un bot (e poi di un ro-bot) creato, neanche è il caso di dirlo, dall’intelligenza artificiale.
Dalla fantascienza alla realtà
Qualche anno fa sembrava ancora fantascienza, oggi decisamente meno: le reti neurali artificiali, l’apprendimento automatico e i modelli generativi di linguaggio di cui disponiamo oggi rendono effettivamente possibile creare una replica verosimile di un defunto, con cui si può conversare e interagire. Si può fare e lo si fa, anche perché l’elaborazione del pianto è una necessità, e come tutte le necessità può generare un business: in Cina, per esempio, si sta sviluppando un’importante industria del settore, che tra l’altro ha già un nome, griefbot. Super Brain, uno studio di intelligenza artificiale con sede nella città orientale di Taizhou, è in grado di creare avatar digitali che non sono semplici simulazioni, ma creazioni iperrealistiche, con un’offerta di prodotti che spazia da clip audio e video a chatbot interattivi, e a novembre dello scorso anno aveva completato più di 400 ordini, prevalentemente rivolti a coloro che vogliono desiderare i familiari scomparsi; Fu Shou Yuan International Group, uno dei principali operatori di pompe funebri in Cina, ha dichiarato di aver iniziato a creare memoriali digitali sul suo servizio cloud, mostrando la versione digitale di un commentatore televisivo scomparso per dimostrare la capacità della tecnologia di emulare le interazioni della vita reale. Oltre a questi servizi personalizzati, sono disponibili decine di app che permettono di (ri)creare un bot a immagine e somiglianza di persone esistenti: tenendo conto che i costi di sviluppo di questi strumenti sono tra gli asset che si deprezzano di più in assoluto, servizi di questo sono destinati a diventare ancora più economici e alla portata di chiunque.
I problemi etici
Per approfondire la questione abbiamo chiesto delucidazioni a Davide Sisto, filosofo e tanatologo all’Università degli studi di Torino, esperto sul tema del rapporto tra la morte e le nuove tecnologie, che ha recentemente partecipato all’incontro IA oltre la vita, primo appuntamento di IA quotidIAna, ciclo di dialoghi dedicati all’intelligenza artificiale curato dall’Università degli Studi di Torino e dal Circolo dei lettori (la registrazione dell’evento è disponibile qui). “Oggi l’intelligenza artificiale trova è largamente utilizzata nella vita di tutti i giorni per i fini più disparati” ci ha raccontato “compreso quello dell’elaborazione del pianto. L’episodio di Black Mirror in cui si esibizione l’incontro tra una ragazza e il bot del suo promesso sposo defunto ha suggestionato molto l’opinione pubblica, e ha ispirato decine di progetti che hanno provato a realizzare uno strumento del genere. La storia di Eugenia Kuyda, per esempio, ricalca molto da vicino quella raccontata in Torna da me: anche lei ha perso il suo promesso sposo in un incidente stradale e ne ha creato una versione digitale aggiornando un programma già esistente, Replika”. Come raccontava nel 2016 in un’intervista a Repubblica, Kuyda già due anni prima della morte del suo compagno stava lavorando all’emulazione del dialogo umano con una startup, Luka.ai: nacque così Replika, un bot in grado di “assorbire” la personalità del suo interlocutore, “diventando un segretario virtuale che ci legge quasi nel pensiero”. A Kuyda venne quasi naturale dare in pasto a Replika tutte le conversazioni che aveva avuto con il suo promesso sposo, ottenendone così un clone virtuale. “Poi c’è stato il caso I met you, un esperimento coreano del 2020 i cui ideatori hanno ricostruito, e collocato in un ambiente di realtà virtuale, l’avatar di una bambina defunta, e l’hanno fatto incontrare con i suoi genitori. Negli anni successivi il fenomeno è continuato a crescere, e oggi siamo arrivati al punto che basta smanettare con un dispositivo Alexa per poter parlare con l’avatar di un defunto”.