Ha parlato dall’Ellisse, dal National Mall al cuore di Washington subito a sud della Casa Bianca. E Kamala Harris, per quello che ha presentato come il grande messaggio finale della sua campagna presidenziale, ha eletto il luogo non a caso: Donald Trump aveva pronunciato qui la propria arringa il 6 gennaio del 2021, finita nell’assalto dei suoi sostenitori al Congresso. Con la White House sullo sfondo, Harris ha denunciato Trump, nuovamente candidato, e le sue politiche definite oggi più di ieri divisive e pericolose per la democrazia stessa. Si è proposta come la sua antitesi: una leader che se eletta intende voltare pagine, cercare il consenso e governare per tutti.
“Fra novanta giorni uno di noi due siederà nello Studio Ovale”, ha detto davanti a una folla di forse oltre 50.000 persone e al Paese. Per apostrofare poi Trump come un “meschino tiranno”, al quale gli elettori “non si sottometteranno”. “E’ la persona che quattro anni or sono da questo luogo ha spedito una folla inferocita e armata al Parlamento per ribaltare il volere del popolo espressosi in libere e giuste elezioni, elezioni che sapeva di aver perso”.
Trump ha definito ancora di recente, nei suoi comizi, il 6 gennaio come una “giornata d’amore”, termine che ha usato anche per descrivere il suo ultimo grande rally al Madison Square Garden di New York City, domenica, dove si sono alternati oratori protagonisti d’una retorica violenta, volgare, bigotta e razzista.
Queste elezioni, ha intimato Harris dall’Ellisse alzando i toni, “sono più d’una scelta tra due partiti e due diversi candidati. Sono una scelta tra avere un Paese che abbia radici nella libertà per tutti gli americani o uno governato da caos e divisioni”. In una delle frasi di maggior effetto ha asserito che Trump, se vittorioso, entrerà alla Casa Bianca con un elenco di nemici dei quali vendicarsi. “Io entrerò con una lista delle cose da fare”.
Ancora, ha definito Trump “instabile” e “ossessionato da ritorsioni”, “consumato da lamentele” e “a caccia di potere incontrollato”. Ha ricordato come il candidato repubblicano abbia minacciato di usare l’esercito sul territorio nazionale, per reprimere proteste che decreti come disordini, per intervenire in città che definisca travolte dal crimine, per espellere in massa migranti.