Secondo Nitschke, infatti, le macchine danno alle persone un vero e proprio potere d’azione, consentendo loro di avviare in autonomia il processo di morte, senza doversi affidare a medici “prevenuti” che devono giudicare se il motivo per cui vogliono porre fine alla propria vita è valido o meno. Le persone che scelgono di utilizzare la capsula per il suicidio assistito dovrebbero rispondere solo a due criteri, stando a Nitschke: “essere sani di mente ed essere maggiorenni“.
“Considero [la tecnologia] importante per democratizzare il processo e demedicalizzarlo”, sostiene Nitschke, che ritiene che la promessa delle macchine sia quella di togliere al medico il peso di porre fine a una vita. “Credo fermamente nel diritto di una persona ad avere accesso all’aiuto per morire, ma non vedo perché questo dovrebbe trasformarmi in un assassino“, afferma Nitschke, che si è laureato in medicina nel 1989.
Theo Boer, che ha trascorso nove anni a valutare migliaia di casi di suicidio assistito per conto del governo olandese, sembrerebbe essere d’accordo con Nitschke sulla necessità di sollevare i medici dallo stress emotivo legato al suicidio assistito. “Non possiamo imporre al medico di risolvere tutti i nostri problemi“, afferma.
Per ben tre decenni, Nitschke ha alimentato ferocemente il dibattito sul diritto alla morte. “È un fomentatore“, sostiene Michael Cholbi, professore di filosofia all’Università di Edimburgo e ideatore dell’International Association for the Philosophy of Death and Dying. Cholbi è scettico sull’idea di normalizzare l’uso del Sarco, ma ritiene che questo sollevi riflessioni importanti: “Sta cercando di catalizzare una conversazione forse difficile sul diritto delle persone ad accedere alle tecnologie per il suicidio”.
Oggi 77enne, Nitschke ha esplorato per la prima volta l’idea di delegare il suicidio assistito alle macchine negli anni Novanta. una volta che il Territorio del Nord dell’Australia è diventato la prima giurisdizione al mondo a legalizzare il processo, si è preoccupato che le persone potessero vedere lui o i suoi colleghi come “un medico malvagio che praticava iniezioni letali a un paziente moribondo che non sapeva cosa stesse succedendo”.
E così ha ideato la macchina per l’eutanasia che ha chiamato Deliverance, che collegava un laptop a una siringa. Rispondendo in maniera affermativa a una serie di domande – del tipo “Sai che se premi questo pulsante morirai? Sei sicuro di saperlo?” – il computer faceva scattare la siringa per rilasciare una dose letale di farmaci. Quattro persone hanno usato la macchina, sostiene Nitschke, prima che la legge del territorio fosse abrogata.
Per i dieci anni successivi, Nitschke ha continuato la sua missione di “democratizzare” l’accesso al suicidio, organizzando workshop e incontri pubblici in cui consigliava ai partecipanti i farmaci per una morte “pacifica“. Ma non tutto è andato liscio. Uno dei partecipanti a questi eventi, un uomo di 45 anni che non aveva una malattia terminale, ha importato illegalmente un farmaco letale in Australia e si è tolto la vita nel 2014. Un anno dopo una colf australiana, Mary Waterman, ha testimoniato in Parlamento sostenendo che il libro di Nitschke sulle combinazioni di farmaci letali è stato trovato sull’iPad del figlio dopo la sua morte per suicidio.
Leggi tutto su www.wired.it
di Morgan Meaker www.wired.it 2024-11-01 05:30:00 ,