A poche ore dall’apertura dei seggi, la domanda più ricorrente è “vincerà Trump?”, magari nella variante superficialmente più neutrale “chi vincerà?”. Chiunque abbia un versante americano, sia analista o semplice residente negli Stati Uniti, ne viene tempestato da giorni.
Sondaggi, opinioni, sensazioni: per corroborare il proprio tifo o smentire quello altrui, vale tutto.
Meno frequentata, per non dire trascurata, è la domanda su quanti e quali potranno votare e come questo potrà influire sul risultato.
Chi premierà l’affluenza? Tradizionalmente, l’alta affluenza premia i democratici. Il motivo è intuibile: in un modello sociale molto verticale, la parte dipendente della piramide conteneva – e contiene – ampie fasce di elettori interessati a temi inquadrabili, con qualche semplificazione, come “welfare” o “Stato sociale”. Il blocco, costruito da Franklin Delano Roosevelt nel 1932, era largamente urbano, con forte presenza di lavoratori, minoranze e di first generation americans. Con il passare degli anni, il blocco si è andato sfaldando. La trasfigurazione dell’economia, per esempio, ha favorito i colletti bianchi e penalizzato quelli blu, molti dei quali sono passati ai repubblicani. L’ascensore sociale, poi, ha reso conservatori i first generation e le minoranze, il cui appoggio non è più scontato. Restano le grandi città, dove novità e problemi vanno a braccetto, e che sono ovunque roccaforti democratiche. In questa direzione si colloca, volendo, anche la comunità trasversale dei diritti, in grado di supplire in larga misura agli arretramenti delle componenti lavoro e nuovi cittadini.
Quali siano i margini di ulteriore crescita del consenso in questi ambiti urbani resta tutto da vedere, ed è del tutto possibile che i democratici si aggiudichino la i più dei voti urbani. Senza un margine molto generoso di vittoria in quest’area, tuttavia, è altrettanto possibile che la vittoria nelle città non sia sufficiente a spostare l’ago della bilancia.