Elon Musk si presenta da solo, con i suoi controversi exploit. Ma ci sono anche i gemelli Winklevoss, Cameron e Tyler, campioni di canottaggio (parteciparono alle Olimpiadi di Pechino), che idearono il predecessore di Facebook ad Harvard, poi ingaggiarono faide legali con Mark Zuckerberg e adesso sono considerati dei guru delle criptovalute (tra le ultime passioni di Trump). C’è Tim Mellon, convertito ad apostolo del Maga da schivo erede di una delle decisive fortune bancarie e oggi in vetta alla classifiche dei foraggiatori di Trump. Ancora Miriam Adelson, vedova di Sheldon, che fu re dei casinò Las Vegas Sands e sempre paladino ultra-conservatore. E nel mezzo spuntano celebrità dell’alta finanza e della Silicon Valley, da John Paulson (chiacchierato per un’eventuale nomina al Tesoro) a Steve Schwarzman, da Paul Singer a Marc Andreessen.
Sono questi i numerosi volti dei super-sostenitori di Donald Trump, che hanno finanziato la sua corsa in una sfida dai costi record: in tutto la rivista Forbes ha identificato 52 miliardari che hanno sostenuto economicamente il tycoon, con almeno metà di loro che hanno donato oltre un milione ciascuno.
Nel complesso, un fiume di quasi quattro miliardi di dollari ha inondato le elezioni, con oltre un miliardo arrivato da una manciata di 144 miliardari. Nel caso di Trump la manciata è particolarmente ristretta: oltre un terzo dei suoi fondi, quasi 700 milioni, è stato versato da mega-donor, quasi il doppio dei grandi finanziatori che hanno sostenuto Harris. Un poker di quattro personaggi ha “investito” 432 milioni sul successo del leader della destra. Il Washington Post è arrivato ad elencare 50 grandi donatori, individui ed entità, che hanno mobilitato 2,5 miliardi per l’intero ventaglio di candidati in lizza nei due schieramenti. Al di là dei dati in parte discordanti, anche da qui emerge un netto squilibrio a favore dei repubblicani, che dall’élite dei supporter hanno intascato in tutto 1,6 miliardi.
Ma veniamo ai protagonisti dei finanziamenti. L’82enne Mellon, tra i malumori di gran parte della sua stessa dinastia familiare, ha messo sul piatto per Trump almeno 150 milioni, metà dei soldi rastrellati dal gruppo Make America Great Again Inc. Includendo i fondi destinati ad altre cause repubblicane il totale sale a 200 milioni.
Musk è stato poco da meno: ha riversato 118 milioni – ma la cifra è in costante aumento – nel suo America Pac, appositamente creato a favore di Trump. Altri 12 milioni li ha immessi per sostenere repubblicani nelle corse a seggi parlamentari. Sicuramente, con i soldi, il patron di Tesla e SpaceX è il leader della Corporate America che si è esposto più pubblicamente, saltando anche sul palco dei comizi assieme al suo candidato. Nel farlo ha ignorato anche le accuse e le denunce per avere violato la legge: con l’acquisto di voti e registrazioni nelle liste elettorali a colpi di assegni, compresa una ripetuta lotteria da un milione di dollari per fortunati estratti a sorte negli Stati incerti. Non solo: ha glissato sulle ombre di conflitti di interesse, in caso di una sua ventilata nomina a zar dei tagli di spesa in caso di vittoria repubblicana. Peccato che abbia contratti federali miliardari e che tra le agenzie che affamerebbe ci sono quelle che controllano i suoi business, dall’auto allo spazio.