La missione delle Voyager è una miniera di dati e informazioni. Il Grand Tour planetario, che ha portato la Voyager 2 a visitare tutti e quattro i pianeti giganti in meno di 12 anni, ha posto le basi per ogni cosa che sappiamo del Sistema Solare esterno. Se Giove e Saturno hanno poi ricevuto le loro visite più approfondite, con sonde come Galileo, Cassini-Huygens, o Juno, i giganti ghiacciati ne sono ancora sprovvisti. Ecco allora che rimaneggiare quei dati di quasi quarant’anni fa può ancora riservare grandi sorprese. L’ultima è quella esposta in uno studio pubblicato su Nature da un gruppo del California Institute of Technology e che ha a che fare con i misteri del campo magnetico planetario di Urano.
Il sorvolo di Urano
La Voyager visitò Urano all’inizio del 1986, con il punto di massima vicinanza raggiunto il 24 gennaio a una distanza di 81mila chilometri dalla cima delle nubi (dove la pressione vale 1 bar). Scoprì tantissime cose di quella biglia azzurro-verdognola. Per esempio scoprì 2 dei suoi 13 anelli, e 11 dei suoi 28 satelliti ghiacciati. Oppure numerosi segnali radio associati, forse, a dei fulmini interni alle nubi ricche di metano e acqua. O ancora, ne misurò la durata del giorno, pari a 17 ore e 14 minuti, calcolati a partire dalla rotazione del campo magnetico. E proprio riguardo al campo magnetico, questo si dimostrò piuttosto strano rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato.