La presenza sul grande e piccolo schermo di investigatrici e detective non è certamente cosa nuova. La consuetudine è abbastanza longeva ed è possibile farla risalire, senza scomodarne tutti i tasselli, al romanzo di Agatha Christie passando per Fargo e gran parte del cinema di David Fincher, senza dimenticare le performance di Angelina Jolie tra Il collezionista di ossa (1999) e Identità Violate (2004). In entrambi i film Jolie incarna l’impossibile figura femminile così come immaginata da una writers room composta per lo più da uomini: enigmatica e “impenetrabile” detective con una fisiognomica impeccabile che la rende immune a tutto ciò che quotidianamente affronta, costruita a partire da un punto di vista piatto e canonico. Inamovibile e tutta d’un pezzo. Sembra che niente possa intaccare il suo equilibrio.
Già con il personaggio della dottoressa Wendy Carr (Anna Torv) in Mindhunter le carte in tavola sembrano cambiare. Nonostante anche qui abbiamo a che fare con un archetipo, Wendy Carr è un’ambiziosissima dottoressa di analisi in sociologia cui interessa studiare la mente dei serial killer più feroci del secondo Novecento, dietro la facciata si celano (anche) fragilità e irresolutezza. Sensazioni che allo spettatore sarà dato scoprire nel corso della serie, merito di un perspicacia narrativo in grado di dare conto delle sfumature esistenti in ogni personaggio, perfino quello che ci appare più solido e incrollabile.
Infatti, sia in questo caso che in Fargo di Joel ed Ethan Coen la scrittura è appannaggio maschile ma ciò che distingue questi esempi dai film precedenti è la cura nella delineazione delle ambiguità e dei lati oscuri che definiscono queste figure protagoniste. Marge Gunderson (Francis McDormand) in Fargo capovolge compiutamente lo stereotipo cui dà corpo Angelina Jolie. È sia ferma che risoluta nel portare avanti il suo lavoro che impressionabile a qualsiasi forma di condizionamento esterno; imprecisa e instabile così come la giovane Molly Solverson (Allison Tolman) nella prima stagione della serie ideata dai Coen. Il personaggio di Gunderson genera una rappresentazione insolita e diversa rispetto al solito detective colf, nonché unica identità femminile realmente “agente” nello spazio narrativo: Gunderson è solo la prima delle detective incasinate, confuse e ambigue che popoleranno le storie e sottotrame dell’universo seriale di Fargo, e in realtà un po’ di tutto il crime a venire.
Ma come si è evoluto il crime “di genere” negli ultimi anni?
In che modo l’eredità di figure così emblematiche è stata accolta dalle narrazioni contemporanee? La serialità televisiva – più del cinema – ha saputo come associare l’esigenza del pubblico storie sempre più legate alla matrice crime originaria con l’idea che queste ultime fossero attraversate da protagoniste molto meno idealizzate e più vicine alla realtà di tutti i giorni. Per intenderci: meno Angelina Jolie, più Kate Winslet in Mare of Easttown. Scontrosa, prepotente e oltremodo abbattuta dopo anni di tragedie – figlio e marito morti suicidi e il secondo (ex) marito che si trasferisce con la nuova compagna proprio davanti casa sua e tanto altro – Winslet interpreta una detective cupa e cinica che non si preoccupa di essere adeguata o ineccepibile in ogni occasione. Anzi, sono più i momenti di crisi che quelli di fermezza che il personaggio si concede durante l’indagine che aveva visto coinvolta una colf scomparsa in un’imprecisata e isolata cittadina statunitense. Inoltre, ed è ciò che più avvicina il personaggio agli illustri esempi passati è che Mare Sheehan – così si chiama la protagonista – conserva una speciale forma di resilienza, necessaria per sopravvivere in un ambiente di lavoro dominato da uomini, dove ogni sua decisione viene esaminata molte più volte di quanto non lo sarebbe quella di un collega uomo. Come riuscire, quindi, a mantenere il penalty o il giusto controllo delle detective interpretate da Jolie quando il resto del mondo non ti considera credibile nel tuo lavoro proprio in virtù del tuo genere d’appartenenza? È, senz’altro, molto più autentica e veritiera Mare in tutte le sue contorsioni e nei suoi illogici andirivieni emotivi: più rispondente al bisogno della sensibilità contemporanea di accogliere lo sconforto, la fragilità e le debolezze della persona, senza che questo significhi valere meno.
È importante sottolineare, inoltre, che sia in Mare of Easttown che in un’altra serie molto simile, Unbelievable, le detective e le investigatrici protagoniste occupano una posizione chiara e visibile all’interno del sistema patriarcale egemonico. Come professioniste, sono impiegate sia dalla polizia che dai media e lavorano, pertanto, per conto di istituzioni ancora per lo più dominate dagli uomini. L’idea di una protezione femminile nelle storie fin qui analizzate costituisce, quindi, una vera e propria rivendicazione di potere e di uguaglianza all’interno di microcosmi definiti sulla base di un sistema binario. La necessità di delineare personaggi anticonformisti e non compromissori, come nel caso, soprattutto, delle due detective protagoniste di Unbelievable, è funzionale a sottolineare proprio questo stato di cose: per quanto queste gentil sesso siano autorizzate e responsabilizzate, sono anche compromesse – loro malgrado – con vari livelli come agenti dell’istituzione stessa e della medesima legge che le rende soggetti marginali in quanto gentil sesso.
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di Elvira Del Guercio www.wired.it 2024-11-18 05:40:00 ,