Zuccheroso, innamoratissimo dei suoi bambini (che fanno i bambini furbi e svelti della strada e rappresentano il lato migliore dell’umanità), Napoli – New York è il trionfo del falso perché vuole esserlo: è il suo obiettivo, non un incidente di percorso. Suonano false (anche se belle e fatte con cura) le scenografie e gli effetti visivi, suonano falsi i costumi, perché esorbitante perfetti, e i personaggi che li indossano, false le motivazioni che li spingono e i fatti in cui sono coinvolti, impossibili gli esiti e assurdi gli intrecci (una partita a carte finale sostituisce la più classica delle partitelle di calcio che imperversano nei nostri film). È cinema, e la plausibilità ha un’importanza relativa, specie se il tono è quello favolistico. Ad affossare il film è allora il fatto che tutto questo sia trattato senza nessuna complessità e pochissima maestria, ma con la piatta accettazione delle convenzioni. È una storia di difficoltà italiane e di identità nazionale, una che in un certo senso riguarda tutti (proprio perché identitaria), condotta da alcuni stereotipi nella cui piattezza è ingiusto chiedere di rivedersi. I protagonisti di Napoli – New York non sono gli italiani del dopoguerra, ma i pupazzi degli italiani del dopoguerra che dicono: «Simmo ‘e Napule paisà».
Questo è un film vecchio, moderno nella tecnica e volutamente antichissimo nell’impostazione e negli intenti. Non era propriamente il pane quotidiano di Gabriele Salvatores, che fino a una decina di anni fa faceva il contrario: cercava storie ben poco rassicuranti, ogni tanto polemiche, spesso sudicie e talvolta anche rischiose. Ma questo è un altro universo, fatto di colori sgargianti e di un grandissimo dispiego di scenografie, VFX per rifare la New York d’epoca e costumi faticosamente usciti dalla sartoria. Napoli – New York è un film dall’inizio alla fine sgargiante, che vetrina il lato buono di tutto, anche degli immigrati italiani negli Stati Uniti, quelli che vedono la Statua della Libertà all’arrivo (curiosamente, nel corso del 2025 arriverà un altro film con degli immigrati del dopoguerra che vedono Ellis Island, ma con un tono opposto: The Brutalist). Loro, una volta arrivati, sono schifati, maltrattati e considerati (e qui sta il gigantesco punto di arrivo del film) come noi consideriamo gli immigrati in Italia oggi. Per fortuna, ci sono gli altri italiani a fare comunità!