È l’ennesima sfida che l’Ucraina si trova ad assalire: uno studio condotto dall’università di Lund in Svezia, pubblicato a fine novembre sul Journal of Infection, ha analizzato i batteri prelevati da oltre un centinaio di persone ferite in guerra, rivelando livelli elevati di resistenza agli antibiotici. Tra questi spicca Klebsiella pneumoniae, un batterio gram-negativo molto comune e ben noto per la sua resistenza agli antibiotici, ma che in questo caso si è dimostrato non solo immune a tutti gli antimicrobici esistenti, ma anche particolarmente aggressivo. Le evidenze scientifiche mostrano che questi ceppi possono causare gravi infezioni come polmoniti, sepsi (una risposta infiammatoria sistemica che può danneggiare tessuti e organi) e complicazione delle ferite, risultando difficili – se non impossibili – da trattare con i farmaci attualmente disponibili.
La correlazione tra i combattimenti prolungati nel tempo e la diffusione di patogeni resistenti non è di per sé una novità, dato che le condizioni precarie dei sistemi sanitari nelle zone di guerra ne favoriscono la proliferazione, mentre resta da verificare se l’origine stessa del ceppo ultra-resistente sia legata nello specifico al conflitto ucraino.
inquietante sì, ma è una questione risaputa
Nello studio sono stati analizzati complessivamente 141 campioni, di cui 133 di adulti feriti in guerra, e ne è emerso che un quarto dei batteri isolati erano assolutamente resistenti agli antibiotici disponibili. Tra quelli individuati, l’attenzione si è focalizzata su Klebsiella pneumoniae perché notoriamente resistente e capace di causare infezioni gravi e letali: questa combinazione rappresenta una doppia sfida sanitaria, dato che le infezioni possono facilmente proliferare e sono difficilissime da trattare. La presenza di un corredo genetico che rende Klebsiella pneumoniae sia resistente sia infettivo – come hanno specificato gli autori dello studio – è una novità che mette in evidenza la resilienza di questi batteri e la loro capacità di adattarsi a condizioni estreme.
Tuttavia, lo studio scientifico non rappresenta di per sé una gran novità: conferma, piuttosto, un trend ben noto di ampliamento del fenomeno dell’antibiotico-resistenza, combinandolo con l’altrettanto notorio tema del peggioramento della situazione sanitaria generale nelle zone di conflitto. Piuttosto che attribuire allo studio un carattere eccezionale legato solamente al conflitto in Ucraina, le evidenze pubblicate meriterebbero forse di essere contestualizzate nel panorama generale del fenomeno.
L’antibiotico-resistenza durante e oltre la guerra
La guerra genera un ambiente favorevole alla diffusione di superbatteri. In Ucraina, il collasso delle infrastrutture sanitarie, le condizioni igieniche precarie e l’uso intensivo di antibiotici nelle cure di emergenza hanno contribuito a favorire la diffusione di patogeni resistenti. Anche conflitti passati, come quelli in Iraq e Siria, hanno mostrato come la guerra aggravi il problema della resistenza antimicrobica, ed è più che ragionevole aspettarsi che lo stesso stia accadendo in Medio Oriente: gli ospedali diventano luoghi di trasmissione per questi batteri, mentre la scarsità di risorse limita le capacità di isolamento dei pazienti infetti. Inoltre, il trasferimento di persone ferite o rifugiate da una regione all’altra facilita la diffusione dei patogeni a livello generale.