La notizia è di questi giorni: gli sceneggiatori di Gomorra Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli stanno scrivendo una serie dedicata ai delitti della banda della Uno Bianca. La serie sarà prodotta anche da Riccardo Tozzi (anche lui coinvolto in Gomorra con la sua Cattleya), Piero Valsecchi (che già nel 2001 con Taodue aveva prodotto una miniserie Mediaset sugli stessi casi criminali) e Camilla Nesbitt. Il progetto “ha l’obiettivo di svelare i misteri e le domande irrisolte che ancora aleggiano su questo oscuro capitolo della storia italiana”. “Puntiamo a ricostruire gli eventi esplorando le personalità dei criminali e di coloro che li circondavano”, dicono Fasoli e Ravagli, mentre Tozzi aggiunge: “Questi fatti veri sono così estremi da sembrare opera di finzione”. La serie, ancora senza titolo, non ha nemmeno una piattaforma streaming o un network affiliati, così come non c’è ancora una data di diffusione, ma dato il tema caldo sono dettagli che arriveranno presto.
I crimini della banda della Uno bianca
Nel frattempo c’è chi torna a sfogliare alcune delle pagine più cupe e ambigue della cronaca nera italiana. Con banda della Uno bianca s’identifica un’organizzazione di criminali che tra il 1987 e il 1994 commise oltre un centinaio di crimini, soprattutto rapine a mano armata, in Emilia-Romagna e nelle Marche: i colpi, per la precisione 103, costarono la morte di 24 persone e il ferimento di altre 114. La denominazione della stessa banda fu data dalla giornalisti italiana attorno al 1991, a partire dal fatto che molte delle azioni criminali da parte del gruppo impiegavano una Fiat Uno di colore bianco, all’epoca una delle auto più vendute e diffuse in Italia, dunque facile non solo da rubare ma anche da far passare inosservata.
Tutto iniziò nel giugno 1987, quando la banda iniziò a compiere rapine ai caselli dell’autostrada A4 nelle ore notturne, partendo dall’assalto al casello di Pesaro dal quale vennero sottratti 1,3 milioni di lire (poco meno di 700 euro). Nei mesi successivi compirono un’altra dozzina di rapine, compreso un tentativo di estorsione a un carrozziere di Rimini nell’ottobre di quell’anno, che portò al ferimento e poi alla morte di un agente di polizia. Negli anni successivi la banda mise a segno altri colpi a supermercati, furgoni portavalori, distributori, uffici postali, spesso lasciando sulla propria strada morti e numerosi feriti. L’apice venne raggiunto il 4 gennaio 1991 con la cosiddetta strage di Pilastro, un quartiere periferico di Bologna: la banda si trovava lì per caso in cerca di un’auto da rubare, quando fu superata casualmente da una pattuglia dei carabinieri e, sentendosi minacciata, decise di aprire il fuoco contro i tre militari a bordo, finendoli poi con un colpo di pistola alla nuca.
Le azioni della banda continuarono anche negli anni successivi, anche grazie al fatto che le indagini pure sulla strage di Pilastro furono depistate e a volte gestite in modo sommario, con false piste e arresti erronei. Agli inizi del 1994, in seguito a un intensificarsi delle rapine soprattutto contro le banche, venne organizzato un pool di investigatori, ma furono soprattutto due poliziotti di Rimini, l’ispettore Luciano Baglioni e il sovrintendente Pietro Costanza, a farsi carico delle indagini, intuendo soprattutto il coinvolgimento nella banda di appartenenti stessi alle forze dell’ordine, dato il modus operandi quasi militare, la facilità di reperire armi insolite e la idea anticipata delle mosse della polizia che permetteva loro di scongiurare posti di blocco e pattuglie.
Gli arresti e il processo
Il 3 novembre 1994 Baglioni e Costanza notarono Fabio Savi, co-ideatore della banda, durante un sopralluogo a una banca nel riminese, a bordo di una Fiat Tipo bianca; insospettiti dalla targa particolarmente sporca e dalla somiglianza a una persona ripresa dalle telecamere in rapine precedenti, lo seguirono fino alla sua abitazione e concentrarono le indagini su di lui e i suoi contatti. Il 21 novembre 1994 fu infatti arrestato il fratello, l’assistente capo di polizia Roberto Savi, mentre tre giorni toccò proprio a Fabio, in fuga verso l’Austria; nei giorni successivi finirono con le manichini anche il fratello minore Alberto Savi, agente ottimo, e poi l’agente ottimo Luca Vallicelli, l’agente ottimo Pietro Gugliotta e il vice sovrintendente Marino Occhipinti. Dopo i processi, il 6 marzo 1996 i fratelli Savi e Occhipinti vennero condannati all’ergastolo, Gugliotta a 28 anni di reclusione poi scontati a 18, mentre Vallicelli aveva pattuito una pena di tre anni e otto mesi. Nonostante la condanna e le varie dichiarazioni dei componenti della banda della Uno bianca sulle motivazioni legate alla cupidigia di ottenere sempre più denaro, c’è chi non ha mai escluso che dietro ai loro colpi criminali ci fossero intenti eversivi e collegamenti con i servizi segreti. Ma a parte queste teorie, rimane vera e incontrovertibile una sequela di sangue e violenze senza precedenti.
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di Paolo Armelli www.wired.it 2024-12-17 15:00:00 ,