Il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb) ha espresso il suo parere in merito al quesito posto dal incarico della Salute sulla questione dell’eticità dell’uso della triptorelina per la disforia di genere nei minorenni. Ha evidenziato, in sostanza, l’insufficienza di dati scientifici e consigliato, che vengano promossi più studi clinici indipendenti per avere dati più rigorosi sull’efficacia e sul rapporto rischi/benefici del farmaco. Ma di cosa si tratta esattamente e come funziona?
La triptorelina, bloccante della pubertà
Utilizzata in molti Paesi, tra cui anche l’Italia, la triptorelina è usata per il blocco della pubertà precoce e per la gestione della disforia di genere, ovvero quella “condizione caratterizzata da un’intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso”, secondo la definizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Msd-5). L’obiettivo, quindi, è quello di dare più tempo per indagare la propria identità di genere. Autorizzata in Italia dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e rimborsabile, il suo utilizzo, come vi abbiamo raccontato, determina la persistenza di una condizione prepubere, influenzando sia il piano auxo-endocrinologico (assenza di caratteri sessuali secondari, blocco della crescita, ritardo della maturazione ossea) che quello neuropsicologico. L’indicazione terapeutica, come riferiscono dall’Aifa, prevede il suo impiego “in casi selezionati in cui la pubertà sia incoerente con l’identità di genere (disforia di genere), con diagnosi confermata da una equipe multidisciplinare e specialistica e in cui l’assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica non sia risolutiva”.
Come funziona
La triptorelina è una molecola capace di agire sul sistema endocrino e frenare l’arrivo della pubertà. In breve, agisce bloccando la secrezione delle gonadotoprine, ormoni che stimolano le gonadi e regolano quindi la secrezione degli ormoni sessuali, come il testosterone e gli estrogeni. Il suo impiego cronico porta alla desensibilizzazione del sistema ormonale e alla soppressione delle funzioni testicolare ed ovarica. Il razionale di utilizzo, quindi, è ritardare la pubertà, in modo da permettere ai giovani più tempo per comprendere quale identità di genere sentano propria. “L’utilizzo del farmaco arriva solo dopo un percorso molto strutturato, in cui i ragazzi e i loro genitori sono assistiti da psicologi, psichiatri, endocrinologi”, ci aveva spiegato Maria Cristina Meriggiola, ginecologa ed endocrinologa dell’università di Bologna, e responsabile del programma sui disturbi dell’identità di genere del Policlinico S. Orsola-Malpighi. “La triptorelina viene assunta, al massimo, per circa due anni, al termine dei quali i giovani, ormai adolescenti, decidono se sospendere il percorso, o di continuare la strada verso il cambio di genere”.
Il parere del Cnb
Dopo una serie di audizioni con esperti e la valutazione dei dati disponibili in letteratura, il comitato ha pubblicato il suo parere con 29 voti favorevoli, 2 astensioni e 1 voto contrario, giungendo alla conclusione che le attuali evidenze scientifiche sono insufficienti e che, per ottenere dati che permettano di rispondere in modo conclusivo, gli studi clinici da svolgere devono essere “di qualità superiore a quelli già realizzati”, seguendo il modello di riferimento dello studio controllato e randomizzato in doppio cieco. Inoltre, il comitato raccomanda che “la prescrizione della triptorelina avvenga solamente a seguito della constatata inefficacia di un percorso psicoterapeutico/psicologico, ed eventualmente psichiatrico. Il processo decisionale deve essere sempre ampiamente documentato in tutti i suoi passaggi”, si legge nel lettera. Il Comitato auspica anche che le prescrizioni siano effettuate solo nell’ambito delle sperimentazioni promosse dal incarico della Salute e che, laddove avvenissero al di fuori, vengano eseguiti gli stessi criteri. Il lettera, inoltre, è accompagnato da due dichiarazioni di voto. La prima, firmata da 15 membri, approva il parere seppur ritenendo eticamente inaccettabile consentire transizioni di genere ai minori, alla luce della possibile irreversibilità dei percorsi e della difficoltà del consenso informato. La seconda dichiarazione, sottoscritta da 7 componenti con l’adesione dei 4 membri senza diritto di voto, afferma che il lettera è coerente con i principi espressi nel 2018, trasformando un sistema deregolato in un protocollo di garanzia per i giovani pazienti.
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di Marta Musso www.wired.it 2024-12-18 10:58:00 ,