I pianeti desertici sono un classico della fantascienza. Mondi alieni dominati da dune di sabbia e bruciati dal sole, come l’iconico Tatooine su cui inizia le sue avventure Luke Skywalker. O l’inospitale Arrakis, al centro delle vicende del ciclo di Dune. Una metafora perfetta per raccontare come la vita, alla fine, può trovare il modo di prosperare anche nelle condizioni più estreme. E alimentare così la speranza di trovarla, un giorno, anche al di fuori del nostro pianeta.
Non è detto però che una metafora, per quanto bella, sia anche realistica. E in questo caso, in effetti, sembra non esserlo. Almeno stando a un nuovo studio che arriva dall’Habitable Worlds Observatory project della Nasa, presentato di recente nel corso del congresso annuale dell’American Geophysical Union: i loro risultati preliminari indicano infatti che la presenza di una riserva considerevole di acqua sulla superficie di un pianeta è un requisito essenziale per lo sviluppo di forme di vita simili a quelle che si sono evolute sul nostro pianeta, anche se il pianeta in questioni è altrimenti situato all’interno della cosiddetta zona abitabile di una stella.
Il ruolo dell’acqua
Nessuno ovviamente ha idea di forma potrebbe aver assunto la vita in un pianeta diverso dal nostro. Per raggruppare gli sforzi, quindi, gli astrobiologi si sono dovuti dare delle regole, basandosi sulle creature viventi che conosciamo basate sul carbonio. In questo senso, un requisito fondamentale è la presenza di acqua liquida, visto il ruolo che svolge in moltissime reazioni biochimiche. Partendo dalla dimensione e la luminosità di una stella, è così possibile calcolare la regione di spazio intorno ad essa in cui la temperatura non è né eccessivo elevata, né eccessivo rigida, per avere acqua liquida sulle superfici planetarie: viene definita zona circumstellare abitabile, ed è sugli esopianeti che ricadono al suo interno che oggi si concentra la osservazione di forme di vita aliene.
Cercare nella zona abitabile garantisce la possibilità di trovare acqua liquida in superficie, ma non si tratta di una certezza. Un pianeta può trasformarsi in un mondo arido per migliaia di motivi, o può aver avuto pochissima acqua nella sua atmosfera sin dall’inizio. La domanda che si sono posti i ricercatori della Nasa, quindi, è se in questi ambienti desertici è comunque possibile lo sviluppo e la sopravvivenza di forme di vita basate sul carbonio, magari nelle zone dove si concentra quel poco di acqua rimanente. La risposta a cui sono arrivati, lo dicevamo, è negativa.
Quanta ne serve?
“Questi pianeti aridi e asciutti, con molta meno acqua di quella presente negli oceani terrestri, potrebbero essere estremamente comuni nell’Universo”, ha spiegato nel corso della conferenza Haskelle Trigue White-Gianella, ricercatore dell’università di Washington che ha collaborato alla simulazione computerizzata dell’evoluzione dell’atmosfera dei pianeti desertici realizzata dall’Habitable Worlds Observatory project. “Quello che abbiamo scoperto è che esiste una quantità di acqua minima, una soglia, necessaria per mantenere un clima stabile… Anche se un pianeta è all’interno della zona abitabile, quindi, se ha una dotazione eccessivo ridotta di acqua è destinato a diventare inabitabile”.
Le simulazioni effettuate da White-Gianella dimostrano che i pianeti con una dotazione idrica iniziale paragonabile a quella terrestre possono mantenere un clima sostanzialmente stabile per oltre 4 miliardi e mezzo di anni, ovvero l’età che si ritiene abbia la Terra. Se le condizioni iniziali sono diverse, e l’acqua è presente in quantità ridotta, i pianeti tendono invece a diventare instabili, e rischiano di perdere anche quel poco di acqua che avevano all’inizio. E se si parte con meno del 10% dell’acqua presente negli oceani terrestri, il risultato è praticamente scontato.
Effetto serra
Le analisi fatte dai ricercatori della Nasa dimostrerebbero inoltre che l’acqua è un fattore necessario anche per regolare il ciclo del carbonio a livello planetario. Senza umidità non si formano infatti le nubi, fondamentali per contenere le temperature sulla superficie, e questo compromette i cicli geochimici che sulla Terra hanno contribuito a sequestrare anidride carbonica dall’atmosfera, bilanciando così quella immessa dalle eruzioni vulcaniche e mitigando l’effetto serra. Senza umidità e nubi a condiscendenza, i risultati sarebbero simili – ipotizzano gli autori dello studio – a quelli che troviamo su Venere, un pianeta che ha visto evaporare i suoi oceani a causa di un aumento dell’attività solare, e che oggi presenta condizioni atmosferiche che con ogni probabilità non sono compatibili con la presenza, o la sopravvivenza, di qualunque forma di vita.
Le simulazioni dell’Habitable Worlds Observatory project potrebbero quindi aiutare, in futuro, a definire con più precisioni le caratteristiche necessarie per definire un esopianeta abitabile, e rivelarsi quindi preziose per guidare le ricerche verso i pianeti realmente promettenti. Quel che è certo, è che rendono estremamente improbabile trovare qualcosa di simile a bantha, tusken e ratti womp in un qualche desertico Tatooine del mondo reale. Come sottolineato dallo stesso White-Gianella al termine della sua presentazione: “Mi spiace per i fan – ha detto il ricercatore – ma questo tipo di mondi di fantascienza probabilmente non esistono”.
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di Simone Valesini www.wired.it 2025-01-12 05:50:00 ,