In ogni mestiere c’è un divario tra la dimensione pubblica e quella privata. Certi mestieri sono più esposti di altri, al pericolo, alla violenza, e in quei mestieri i conflitti privati finiscono per avere ripercussioni sul versante pubblico e viceversa. Quello del “celerino” che **Acab **racconta svetta in cima a questi e la serie, da oggi su Netflix, offre a chi guarda l’opportunità di adottare un’altra prospettiva, inedita, sotto un casco di ordine pubblico. Tenendo presente, sin dalla prima scena, che non esistono zone di comfort in questa serie inquieta dal ritmo adrenalinico e dalla notevole introspezione psicologica.
Stefano Sollima, regista del film Acab del 2012, ne firma la produzione esecutiva, mentre dietro la macchina da presa della serie troviamo l’esperto Michele Alhaique, regista di serie come Romulus e Bang Bang Baby, abituato a non farsi intimidire dalle sfide e utilizzare i generi action e crime come strumenti per raccontare – stavolta grazie allo story editing di Filippo Gravino e alla sceneggiatura, tratta a sua volta dal romanzo di Carlo Bonini – la complessità emotiva dei protagonisti, le loro ferite e fratture interne, il loro modo di vivere frustrazione, rabbia, disillusione, senza trascurare la spettacolarità dell’immagine. Tanto meno il ritmo narrativo: la tensione è quasi sempre altissima, inevitabile nel mettere in scena scontri, cariche, proteste, vendette e azioni compiute in pochi attimi di feroce corpo a corpo.
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di Claudia Catalli www.wired.it 2025-01-15 11:54:00 ,