AGI – Salta ancora il vertice ministeriale dei 23 membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) e dei loro alleati, che era stato riprogrammato oggi per il mancato accordo di giovedì scorso.
La riunione è stata nuovamente rinviata a data da destinarsi dopo il fallimento di ogni tentativo di trovare una soluzione di compromesso su come gestire i prossimi aumenti della produzione di greggio, previsti a partire da agosto.
L’empasse preoccupa il mondo e i banchieri centrali. E come da attese i prezzi del petrolio sono saliti ancora di più. Il timore degli analisti è che il rialzo spinga ulteriormente l’inflazione dei paesi Ocse (e non solo) e metta a repentaglio la ripresa economica globale.
Il Wti sale dell’1,57% a 76,34 dollari al barile e il Brent guadagna lo 0,76% a 76,90 dollari. Da inizio anno i prezzi dei due benchmark principali hanno guadagnato oltre il 50% con il Brent che punta ormai agli 80 dollari.
L’estensione dell’accordo in corso ha trovato finora la strenua opposizione degli Emirati Arabi. Mentre l’Opec apre con cautela il rubinetto con l’inizio di una fragile ripresa economica globale, Abu Dhabi, il cui Pil dipende per il 30% dagli idrocarburi, ha confermato domenica di essere all’origine del blocco delle trattative, parlando di un accordo “sleale”.
“È tutto il gruppo contro un Paese, è triste dirlo ma è la realtà”, ha detto da parte sua il ministro dell’Energia saudita, il principe Abdelaziz bin Salman, durante un’intervista concessa a Bloomberg. Alla vigilia della ripresa dei negoziati, ha poi parlato al canale privato saudita Al-Arabiya, chiedendo “un po’ di razionalità e compromesso”.
Da maggio il cartello ha timidamente riaperto il rubinetto dell’oro nero dopo averlo chiuso all’inizio della pandemia di Covid e in due mesi i prezzi sono saliti sull’onda delle riaperture e della ripresa delle attività economiche. I 23 paesi Opec+, con in testa Arabia e Russia, intendevano aumentare la produzione complessiva di petrolio di 400.000 barili/giorno tra agosto e dicembre.
Ma gli Emirati “chiedono giustizia per la data di scadenza post-aprile” 2022 dell’attuale accordo quadro, secondo il ministro dell’Energia degli Emirati, Souheil al-Mazrouei. “È irragionevole accettare ulteriori ingiustizie e sacrifici. Siamo già stati pazienti”, ha detto a Sky News Arabia, con sede negli Emirati.
Al centro della controversia c’è la questione del volume di produzione di riferimento, da cui viene calcolata la quota per ciascun paese. Per il ministro degli Emirati il volume del suo Paese – fissato a 3,17 milioni di barili al giorno – dovrebbe essere rivisto al rialzo (3,8 milioni di barili al giorno) in caso di proroga dell’accordo. Questa richiesta è stata respinta dal ministro saudita. “Partecipo alle riunioni dell’Opec+ da 34 anni e non ho mai visto una richiesta del genere”, ha detto il principe Abdulaziz ad Al- Arabiya.
Utilizzando una schiettezza rara in una regione in cui le controversie tra alleati vengono generalmente risolte con la massima discrezione. Il ministro saudita si è rifiutato di cedere alle richieste di Abu Dhabi, sostenendo in particolare che l’estensione dell’intesa così com’era fino alla fine del 2022 era necessaria per la stabilità del mercato.
La mancata negoziazione potrebbe far salire ancora di più i prezzi del greggio, minacciando la già precaria ripresa globale post-pandemia.
Uno scenario del genere rischierebbe anche di rompere l’alleanza Opec+. L’anno scorso, un analogo disaccordo sulle quote tra Arabia Saudita e Russia – la cui rivalità è consueta – ha esacerbato il crollo dei prezzi causato dalla pandemia.
Gli analisti hanno espresso preoccupazione per la tensione tra gli alleati del Golfo. “La prospettiva di un mancato accordo, o addirittura di un’uscita degli Emirati dall’Opec, è aumentata notevolmente”, ha avvertito in una nota Helima Croft, analista di Rbc, “poiché sembra difficile per l’alleanza concedere questo privilegio senza aprire un vaso di Pandora. Washington, che ha buoni rapporti sia con Riad sia con Abu Dhabi, potrebbe dover intervenire per aiutare a trovare un compromesso e prevenire lo scenario di rottura”.
I due Paesi del Golfo condividono da tempo una diplomazia molto stretta, ma di recente le controversie si sono intensificate. Gli Emirati si sono ritirati dal 2019 dalla coalizione araba a guida saudita in Yemen contro i ribelli Houthi, vicino all’Iran. Abu Dhabi è apparsa cupa anche durante la riconciliazione di gennaio con il Qatar, ampiamente sostenuta dall’Arabia Saudita, dopo oltre tre anni di liti diplomatiche nel Golfo.