di Lorenza Negri
Quante volte la finzione – romanzi, film, serie di fantascienza – hanno anticipato la realtà? The Veil, k-drama appena concluso su Kocowa (Rakuten Viki) – fa il contrario: mette la finzione al passo con la realtà, nello specifico, con la tecnologia del deepfake. The Veil segue il ritorno di una spia della Nis (l’intelligence coreana), dispersa in azione l’anno precedente durante una missione a Shenyang. Han Ji-hyuk (Namkoong Min, One Fine Day) viene rinvenuto dai suoi ex colleghi – o quello che rimane di un team annientato in circostanze sospette – in uno stato animalesco: psicotico, aggressivo, funziona solo in modalità di sopravvivenza. Solo col tempo e con le cure in grado di contrastare il cocktail di sostanze psicotrope da cui è stato dipendente durante il periodo della sua latitanza, la sua reale natura riemerge, ed è quella di una superspia, una macchina per uccidere anaffettiva e pragmatica che ha seppellito sensi di colpa e sentimenti sotto bidoni di droghe.
Il velo del titolo è quello che copre la vera agenda dell’Nis: nata per proteggere la Corea del Sud dalle minacce della sorella settentrionale e dal terrorismo, esiste orma solo in funzione di autoconservazione, dominata da corruzione e interessi personali per i quali, a pagarne le conseguenze, sono gli agenti caduti, commemorati da innumerevoli targhe anonime. Il personaggio di Han Ji-hyuk – interpretato con mirabile impassibilità da un Namkoong Min palestratissimo e in modalità terminator per tre quarti della serie – ricorre agli estremi della manipolazione della mente tramite, come accennato, farmaci psicoattivi che deformano immagini e ricordi del passato. Tuttavia, la manipolazione più impressionante è quella che la tecnologia offre nel contraffare la realtà. La Corea del Sud è considerata oggi quello che era il Giappone degli anni ‘80, l’avanguardia dell’hi-tech. Tecnologicamente avanzatissima, tiene testa a Cina e Usa e le applicazioni delle sue scoperte vanno ben oltre l’uso quotidiano del comune cittadino la cui vettura si guida praticamente da sola e la cui connessione sullo smartphone viaggia a una velocità di download media intorno ai 50Mbps (la più veloce del mondo).
A rendere The Veil una serie da vedere – ben più dei risvolti inquietanti tipici del thriller politico (i voltafaccia dei buoni in cattivi e viceversa), dell’azione violenta e realistica (le scene di combattimento tra Han e i terroristi), delle trovate geniali (l’espediente per individuare la stanza degli ostaggi) – è la rappresentazione dell’impiego delle nuove tecnologie, in particolare del deepfake, che rendono fondamentalmente inutili metodi per il riconoscimento facciale dei sospetti – già di per sé discutibili. Su Wired se ne è parlato spesso, anche nel caso specifico della sua applicazione nell’intrattenimento con la creazione di celebrità virtuali come le Eternity, ma The Veil va ben oltre, incentrando alcuni episodi su un omicidio ripreso dalle telecamere di un incrocio cittadino affollato. Quello che si vede, apparentemente, è Han che spara a una collega, ma non è così: è stata applicata alla ripresa, in tempo reale, la manipolazione dell’immagine che oblitera la reale identità dell’assassino.
Più avanti, (nella scena che potete vedere nel video qui sopra), i protagonisti avranno modo di constatare personalmente che quello che i loro occhi vedono dal vivo e quello che viene riportato, contemporaneamente, sugli schermi agganciati alle telecamere non sono la stessa cosa, non è la stessa persona: un programma applica la tecnologia del deepfake direttamente alla ripresa, rendendo di fatto impossibile l’utilizzo di un video come prova concreta. È il futuro, in realtà già presente, che ci aspetta, un mondo dove è impossibile fidarsi di quello che vediamo attraverso il filtro di uno schermo.
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www.wired.it
2021-11-02 15:00:00