di Paolo Armelli
Il 4 dicembre 2011 andava in onda nel Regno Unito il primo episodio di Black Mirror, quello – ormai celeberrimo – in cui il primo ministro inglese era costretto a praticare sesso su una scrofa per liberare una principessa rapita. Da noi la serie iniziò ad andare in onda l’anno successivo su Sky Cinema e per le prime stagioni passò un po’ in sordina prima di godere del boost internazionale offerto dallo streaming di Netflix. E del resto un premier immortalato sul piccolo schermo a fare sesso animale a noi italiani non deve essere parso poi così improbabile, reduci com’eravamo da un ventennio abbondante di berlusconismo e televisione a dir poco circense.
Eppure bastò quel primissimo episodio per capire, o almeno far intuire, quello che sarebbe stato Black Mirror nell’epoca a venire: la serie antologica di Charlie Brooker si è confermata nel tempo uno specchio deformato e premonitore delle assurdità più grottesche della nostra società, un pozzo oscuro in cui l’immaginazione più deviata, soprattutto se applicata alla tecnologia e alle contraddizioni della vita digitale, non solo attingeva a piene mani dalla realtà concreta in cui siamo immersi ma soprattutto sembrava quasi anticipare le idiosincrasie che poi si sarebbero avverate.
“Spesso mi accade di pensare: ‘Dio mio, questo è completamente e totalmente improbabile’, e poi invece la realtà lo supera”, ha dichiarato Brooker già quando stava lavorando alla quarta stagione, la penultima che abbiamo visto: “Quindi cerco in tutta consapevolezza di spingermi ancora più lontano nel senso delle storie che realizziamo”. C’è da chiedersi a un certo punto quanto l’immaginazione umana possa spingersi a scandagliare questo nichilismo profetico, quasi si entrasse in una dimensione autoavverante in cui ogni speranza è stata abbandonata come di fronte a quel cancello infernal-dantesco che è l’umanità. Ma questo non ha mai fermato Brooker stesso, che anzi ha spinto sull’acceleratore del delirio come mai prima.
I momenti più WTF
Il marchio di fabbrica di Black Mirror, d’altronde, è proprio questo: mettere in scena situazioni fin troppo estreme per sembrare vere per poi farci notare, magari in un finale a sorpresa o in un dettaglio minimale ma eclatante, che ciò che stiamo osservando è dannatamente realistico, e in fondo ci riguarda tutti. Nel corso di cinque stagioni, oltre venti episodi, qualche speciale e qualche film, abbiamo assistito a dating app perverse, innesti sottocutanei di cui nessuno ha mai letto le istruzioni, cani meccanici che ridefiniscono il concetto di pet therapy, videogiochi omoerotici, case di riposo in realtà aumentata, popstar in coma (non etilico), dilemmi morali opportunamente sotterrati. Soprattutto, abbiamo assistito alla nostra vita esplosa e alterata. Né più né meno.
Quando in Nosedive (Caduta libera), la giovane donna interpretata da Bryce Dallas Howard è talmente ossessionata dal suo punteggio “social” da rovinarsi la vita (e un matrimonio) con le sue stesse mani, in scena c’è la nostra dipendenza compulsiva dall’approvazione altrui. Quando in Shut up and Dance (Zitto e balla), il protagonista è disposto a tutto pur di non rivelare al mondo le sue aberranti abitudini pornografiche, si sta parlando dei segreti inconfessabili che ognuno di noi nasconde nella propria cronologia.
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www.wired.it
2021-12-04 06:00:00