di Mara Magistroni
Al posto di test antigenici e tamponi molecolari, in futuro si potrebbe utilizzare una speciale polvere di diamanti per rintracciare il coronavirus. L’idea è di un team di ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology, a Cambridge, Stati Uniti) che sta provando a sviluppare un sensore quantistico capace di rilevare frammenti di rna del virus più sensibile, rapido e economico di quelli disponibili oggi. Il nuovo approccio, per ora solo teorico, è descritto in un articolo pubblicato sulla rivista Nano Letters.
Un test quantistico
Secondo i ricercatori del Mit è possibile sfruttare le proprietà quantistiche di minuscoli frammenti di diamanti che contengono dei “difetti” chiamati centri di vacanza dell’azoto. Questi sono già noti per essere sensibili a perturbazioni su scala nanoscopica e sono studiati proprio per eventuali applicazioni nell’ambito di dispositivi di rilevamento.
I diamanti dovrebbero essere rivestiti da uno speciale materiale che si accoppi magneticamente, ma che sia stato trattato con molecole biologiche (c-dna) che si legano in modo specifico con la sequenza di rna del coronavirus.
Nel momento di testare un campione biologico, se il virus fosse presente, il suo rna si legherebbe al materiale di rivestimento interrompendo la connessione magnetica con la polvere di diamanti. Ciò provocherebbe un cambiamento nella fluorescenza dei diamanti, rilevabile con un sensore ottico a laser.
Più sensibile, più veloce, più economico
Gli scienziati ritengono che un test simile possa raggiungere livelli di sensibilità (cioè la capacità di rilevare la presenza del virus nel campione quando presente) superiori a quelli dei test antigenici (data al 70-86% dall’Istituto superiore di sanità) e paragonabile (o addirittura migliore) a quella dei test molecolari mediante tampone. La stima è che il test quantistico rifletta meno dell’1% di esiti falsi negativi e che possa essere facilmente adattato alle eventuali mutazioni di Sars-Cov-2.
Un vantaggio ulteriore sarebbe la velocità di esecuzione: pochi minuti contro le diverse ore che occorrono per il test molecolare. Infine, i costi: per gli esperti il sensore utilizzerebbe materiali e supporti economici che durante lo sviluppo potrebbero anche essere ridimensionati per adattarsi alle esigenze. I diamanti da impiegare sono davvero grandi come granelli di polvere, mentre il materiale di rivestimento può essere prodotto con processi chimici già ampiamente utilizzati e i laser sono del tutto simili ai puntatori che si trovano comunemente in commercio.
Dalla teoria alla pratica
Ma c’è un “ma”. Per il momento quest’idea esiste e funziona solo sulla carta, anche se i ricercatori sono già all’opera per realizzare un prototipo. Non si sa però quanto tempo ci vorrà per completare il lavoro e confermare le previsioni teoriche: c’è parecchio lavoro da fare e serve l’unione di diverse competenze, dalla fisica alla chimica, dall’ingegneria alla biologia.
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www.wired.it
2021-12-22 11:40:17