Articolo 1 punta a rientrare nel Pd ma le parole di Massimo D’Alema sulla «malattia» del renzismo complicano la partita. L’incontro (sul Quirinale) a dimora di Roberto Speranza con Giuseppe Conte ed Enrico Letta
«Non siamo nati per fare una parrocchietta. Siamo nati per tenere viva l’idea di una grande forza della sinistra plurale. Abbiamo visto per tempo sia la prospettiva di un campo progressista sia i rischi di deriva del renzismo. Adesso, più che da noi, dipende dal Pd. Ci dica. Noi decideremo nel nostro collettivo». Poco prima dell’ora di pranzo, intercettato dal Corriere della Sera, Pier Luigi Bersani imprime nero su bianco il biglietto aperto che la pattuglia di Articolo 1 è disposta a obliterare per rientrare nel Partito democratico. Ci sono i nomi dei passeggeri, la stazione di andata e quella di arrivo ma, come in tutti i biglietti aperti, manca la data e soprattutto bisogna tenere conto degli imprevisti del caso.
A quell’ora, la bufera per le ultime parole con cui
Massimo D’Alema
aveva chiuso il suo 2021 — quelle in cui l’ex presidente del Consiglio aveva manifestato la volontà di rientrare nei ranghi di un Pd ormai guarito dalla «malattia» del renzismo — non si era ancora consumata del tutto, nel senso che
l’irritata replica di Enrico Letta
non si era ancora manifestata sui terminali delle agenzie di stampa. Ma il senso della volontà della forza politica che rappresenta l’estrema punta a sinistra della maggioranza che sostiene il governo Draghi, oggi guidata dal ministro della Salute Roberto Speranza, quello è e quello rimane. Le condizioni per «il ritorno a dimora» — aiutate dall’incredibile congiunzione astrale che vede oggi il Pd guidato da Letta, che all’epoca della segreteria Bersani era il numero due e che con Bersani ha rappresentato l’effige dei «dioscuri del riformismo» di una storica campagna per le Europee del 2004 — ci sono tutte. Solo che adesso, è il leit motiv bersaniano, «più che da noi, dipende dal Pd». Due ore dopo, quando l’agenda della politica italiana che si risveglia dal torpore del post-Capodanno è monopolizzata dall’eterno ritorno delle liti a sinistra, e lo stizzito appunto di Letta alle dichiarazioni di D’Alema è agli atti, la posizione di Bersani non cambia. L’ex leader del Pd non aggiunge né toglie; non prende ovviamente le distanze da D’Alema e, altrettanto ovviamente, non getta sale nella ferita che si è aperta tra Articolo 1 e il Pd.
Quanto all’ex presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, si trova in vacanza; e, ai pochissimi che sono riusciti a mettersi in contatto con nelle ultime ventiquattr’ore, ha già avuto modo di manifestare il suo stupore per la eco raggiunta da «un messaggio di auguri su Zoom». Nonostante le smentite dettate dal rispetto delle liturgie della politica («Non è stato deciso alcuno scioglimento di Articolo 1 nel Pd», ha detto il coordinatore Arturo Scotto all’Agi), gli incidenti di percorso come quello innescato dalle dichiarazioni di D’Alema, un congresso che sarà concluso in primavera, la storia del ritorno nel Pd del partito guidato da Speranza ha verosimilmente un finale già scritto. La griffe lettiana sul «nuovo Pd», l’adesione del ministro della Salute alle Agorà volute dal Nazareno e la necessità condivisa di recuperare l’antica idea di un centrosinistra modellato sul concetto del «campo largo»sono i tre motivi pubblici che rendono le ragioni del tornare insieme superiori a quelle del rimanere separati.
C’è anche un aspetto, tutt’altro che laterale, che riguarda il Quirinale. Tre giorni prima di Natale, il ministro Speranza ha invitato a dimora sua Enrico Letta e Giuseppe Conte. Al riparo da occhi indiscreti — un po’ come hanno fatto davanti ai fotografi
Berlusconi, Meloni e Salvini
— i tre leader del centrosinistra hanno fissato un metodo comune e messo in piedi «un patto di consultazione permanente» che durerà fino a quando non sarà eletto il successore di Sergio Mattarella. L’obiettivo è «lavorare a un percorso unitario». Fuori dal politichese, questo è l’accordo sottoscritto, si punta a fare tutti le stesse cose, a votare nello stesso modo, a scegliere lo stesso nome. Vale per il Colle, ovviamente; e, se al Colle dovesse andare Draghi, per la scelta del presidente del Consiglio chiamato a sostituirlo. In una maggioranza, ragionano in tanti, in cui a quel punto potrebbe non figurare più la Lega di Salvini.
3 gennaio 2022 (modifica il 3 gennaio 2022 | 07:31)
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Tommaso Labate , 2022-01-03 06:32:47
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