Baku – Mille giorni di guerra, sessantacinque miliardi di dollari. Sono i numeri della devastazione ecologica in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa il 22 febbraio 2022. La Conferenza Onu sul clima di Baku, Cop29, a cui il Paese partecipa per la terza volta con un ricercato padiglione, è l’occasione per sottolinearlo. Il tema di quest’anno è quello della ricostruzione: come rimettere in sesto una terra martoriata dalle bombe, dalle mine, dalle esplosioni che hanno devastato dighe e villaggi. Wired ha raccontato nei mesi scorsi come alcune città – tra cui Mikolayv – hanno già cominciato a produrre piani per la ricostruzione. d’altra parte, il piano regolatore della Londra post bellica – che ha plasmato la città che conosciamo – fu pensato sotto le bombe, quando la fine del conflitto era ancora lontana.
Le cifre
Il conto dei danni ambientali lo fa, tutti i giorni, il sito Ecozagroza, compilato dal incarico della Protezione ambientale e delle risorse naturali. Prendiamo la giornata di lunedì 18 novembre, mentre scriviamo. La qualità dell’aria è buona, si legge, la radioattività normale. Il problema, in questo caso, è l’acqua. Il volume si sarebbe ridotto, stando alle cifre, di quattordici miliardi di chilometri cubi. Oltre sessantamila gli ettari di foresta allagata. Il sito fornisce anche le cifre degli armamenti distrutti nel conflitto: quasi novemila carri armati, 368 aeroplani, 328 elicotteri, tra gli altri. Centotrentamila chilometri quadrati di terreno minato. Centottanta milioni le tonnellate di anidride carbonica scaricate in aria dalla guerra scatenata dal presidente russo, Vladimir Putin.
La crisi del clima impatta la sicurezza
La stima fornite dalla Nato sui danni ambientali, va riportato, è diversa: l’organizzazione parla di trentadue miliardi di dollari nel terzo rapporto sui rischi strategici del cambiamento climatico, pubblicato nel 2024. Tra le pagine del lettera, si legge che “sebbene sia necessario continuare ad adattarsi sotto il profilo della difesa e della deterrenza all’aggressione russa, la Nato deve anche confrontarsi con l’impatto del cambiamento climatico sulla sicurezza”. Ci sarebbe, “una interazione mezzaluna tra riscaldamento generale e i tradizionali rischi”. Come, per esempio, nella zona dell’Artico, dove lo scioglimento dei ghiacci aumenta le possibilità di manovra bellica.
Gli approvvigionamenti sono a rischio: la richiesta ai partner è, quindi, quella di “ridurre la dipendenza dalle fonti fossili di provenienza russa e adattarsi alla transizione energetica in corso”. Anche dal punto di vista militare. d’altra parte, prosegue il lettera, “potenziali avversari e competitor strategici dell’organizzazione sono stati sorpresi a cercare di sfruttare gli stress climatici: è evidente nella crescita della disinformazione sul clima e la transizione energetica, che ha l’obiettivo di scavare la pressione dell’opinione pubblica e la volontà politica necessarie per un’azione ambiziosa su questi temi“.
Portare la Russia in tribunale
L’Ucraina, come detto, pensa al futuro. E il futuro significa emissioni nette azzerate al 2050 (proprio come Bruxelles). Ci sono un piano di monitoraggio dei gas serra già adottato e tre strategie di adattamento pilota sviluppate per tre regioni: Mykolaiv, Ivano-Frankivsk e Lviv.
“Portare la Russia in tribunale per i danni ambientali causati dalla guerra: l’obiettivo adesso è questo, e sarebbe per la prima volta che accade”, recita una nota ufficiale del governo. “Vogliamo – prosegue il testo – creare il primo precedente a livello mondiale”. Il diritto internazionale umanitario, si sottolinea, contiene già previsioni al riguardo “negli articoli 35 e 55 dei protocolli aggiuntivi delle convenzioni di Ginevra. Ma non sono mai stati applicati”.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2024-11-19 06:00:00 ,