Fasiki ha la sua esperienza con la censura, avendo realizzato il primo manuale a fumetti mai pubblicato in Marocco sui temi dell’identità di genere, l’orientamento e l’educazione sessuale: “Sono cresciuta in Marocco, e me ne sono dovuta andare non per via del governo, ma per via di alcuni cittadini che mi definiscono islamofobica, e da cui ho ricevuto minacce. Ma quello che faccio parte dall’amore per il mio Paese, per la mia gente, che non voglio che vedere oppressa. Trovo che i veri islamofobi siano quelli che vedono i propri concittadini uccisi e oppressi dal fascismo, e non fanno niente per impedirlo”.
Dall’altro lato della censura c’è quella che spesso è definita “cancel culture”. La reazione contro battute sessiste, razziste, discriminanti. C’è chi ritiene che si sia andati eccesso oltre, ledendo così il diritto di esprimersi liberamente. Ma è proprio vero che oggi non si può più dire niente? “Chi lo dice è un vittimista piagnone”, è il sintetico e fulmineo giudizio di Daniele Fabbri, Standup Comedian, attore comico, sceneggiatore e fumettista, autore di Quando c’era LVI (edizioni Shockdom). “Chi si lamenta del fatto che non si possono più fare le battute, quelle dei bei cinepanettoni di una volta, che non può più dire liberamente quel che gli passa per la testa… è un piagnone che non è capace di fare un minimo di autocritica sulle proprie abitudini”, aggiunge l’autore. “Se vuoi fare satira come provocazione in una società che sta cambiando, benissimo, ma devi preoccuparti di essere a contatto con il mondo che hai davanti, un mondo che sta cambiando, non con quello che vorresti tu”.
Secondo Fabbri, la satira non dà immunità, altrimenti diventa solo una scusa per fare bullismo. “Puoi dire quello che vuoi, ma ti accolli le conseguenze. Lo scopo non è stabilire criteri o limiti, ma se fai battute da s*****o, e ti dicono che sei s*****o, te lo prendi e te lo porti a casa. Non c’è cosa più triste di un sedicente comico che non accetta di essere criticato. Che poi in realtà tante volte quelle non sono neanche battute, ma soltanto insulti, come il comico che al comizio di Trump ha detto che il Puerto Rico è un’isola di spazzatura. Non c’è la battuta qui, è solo un’offesa”.
Andrea Coccia, giornalista e co-ideatore di Slow News e direttore responsabile della Revue Dessinée Italia, identifica diversi tipi di censura: “C’è la minaccia di una querela da parte di chi ha le risorse per pagare un avvocato sino alla fine del processo, verso qualcuno che non ne ha – come può essere un fumettista, o un giornalista – è una forma di terrorismo legalizzato. Per noi una singola denuncia vuol dire rischiare di chiudere bottega. Secondo il giornalista, anche la pubblicità è una forma di bavaglio, che permette solo a chi è indipendente di rimanere oggettivo. Ma c’è anche una censura più subdola: “Il caos, il rumore, che si moltiplica da quando siamo tutti diventato produttori d’informazione sui social e su internet. Quando vi è un eccesso di informazioni, è più difficile indivduare quelle importanti, quelle che contano. Pubblicando costantemente contenuti, storie, e altro, alimentiamo questo tipo di censura”.
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di Andrea Curiat www.wired.it 2024-11-05 08:36:00 ,