Chiesto il rinvio a giudizio per i 3 indagati nell’ambito dell’inchiesta per la morte di Luana D’Orazio, l’operaia 22enne morta a Prato durante il turno di lavoro nella ditta tessile che l’aveva assunta come apprendista.
Luana D’Orazio
La Procura di Prato ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per tre indagati nell’inchiesta sulla morte di Luana D’Orazio, giovane operaia di 22 anni madre di un bimbo morta lo scorso 3 maggio mentre lavorava accanto a un orditoio dell’azienda tessile che l’aveva assunta a Montemurlo. Chiesto il processo per i titolari della ditta Luana Coppini e Daniele Faggi. Stessa sorte anche per il tecnico manutentore esterno all’azienda, Mario Cusimano. I tre dovranno rispondere di omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele anti-infortunistiche. La ragazza è morta durante il turno di lavoro trascinata per i capelli dall’orditoio sprovvisto di rete protettiva. Il macchinario era stato manomesso per aumentare la produttività. D’Orazio era stata assunta come apprendista da circa due anni.
Proprio la sua condizione di apprendista aveva suscitato le prime polemiche prima dell’iscrizione di tre persone nel registro degli indagati. La giovane di 22 anni avrebbe dovuto infatti essere affiancata da un supervisore individuato nella figura di un collega. L’operaia però lavorava sempre da sola accanto ai macchinari, coinvolta nelle operazioni di produzione come un qualunque altro impiegato. Il 6 settembre scorso il consulente tecnico ha stabilito che la 22enne è morta a causa della manomissione dell’orditoio. Luana ha infatti avviato il macchinario alle 9.45 e alle 9.46 si è spostata accanto al subbio, il rullo sul quale si avvolge il filo prima di azionare l’orditoio. L’operaia è rimasta agganciata a una sbarra del macchinario e il motore l’ha risucchiata tirandola prima per la maglietta e poi per i capelli. Secondo il perito, il corpo della ragazza ha girato per ben due volte in un “abbraccio mortale”. Dopo 7 secondi un collega ha spento il macchinario per salvarla. Luana però è morta sul colpo: l’autopsia ha dimostrato che la causa principale è stata lo schiacciamento del torace. Se il cancello di protezione fosse stato abbassato, l’incidente non si sarebbe verificato. Le manomissioni hanno creato quindi il nesso causale con la morte della ragazza.
Subito dopo l’accaduto, la proprietaria della ditta Luana Coppini si era offerta di provvedere ai bisogni del figlio dell’operaia defunta. Il bambino è attualmente sotto la custodia della nonna, Emma Marrazzo. “Mia figlia si sentiva sicura – ha raccontato la donna -. Quando è stata assunta ha trovato l’orditoio già manomesso. Non percepiva il pericolo perché ha sempre lavorato senza dispositivi di sicurezza. Una volta era rimasta impigliata alla stessa staffa che ha poi provocato la sua morte nel mese di maggio. Aveva raccontato tutto al padre e aveva detto di aver fatto appena in tempo a sganciarsi grazie all’aiuto di una collega”.
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di Gabriella Mazzeo
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2021-12-07 20:26:34 ,