Perché l’articolo potrebbe interessarti? La protezione civile italiana ha un meccanismo di allerta diverso da quello spagnolo e questo previene disastri come quelli osservati in Spagna: “Qui una vera protezione civile ancora non c’è”, racconta a True News il giornalista italiano Roberto Pellegrino, residente a Valencia.
Alle ore 15, ogni giorno, le varie regioni recepiscono da Roma il bollettino sulle condizioni meteo per il giorno successivo. A pubblicarlo è la protezione civile nazionale e si tratta dell’indicazione chiave fornita ai vari enti sulle condizioni meteorologiche delle successive 24 ore. La macchina della prevenzione e dell’allerta, nel nostro Paese, si avvia in questa maniera, con la palla che poi passa agli enti locali. Funziona così da anni, da quando ossia è entrata in vigore una direttiva, firmata il 27 febbraio 2004, risalente al secondo governo Berlusconi.
Un simile coordinamento non sembra essersi verificato in Spagna e questo, unito anche a vari altri fattori, può essere considerato alla base del disastro di Valencia. Lì dove alla furia dell’acqua si è unita una certa responsabilità politica nella gestione della tempesta del 29 ottobre scorso.
Le differenze tra Italia e Spagna
Per comprendere migliore le differenze tra Italia e Spagna sul meccanismo di allerta, è possibile prendere in esame la dichiarazione, espressa in quello stesso 29 ottobre alle ore 13:00, del presidente della Comunità Valenciana, Carlos Mazon. In un dissertazione pronunciato all’assemblea regionale (e successivamente rimosso dalla rete prima di essere “ripescato” dai giornalisti di El Pais), Mazon ha dichiarato che il peggio stava passando: “Dai dati forniti alla Comunidad Valenciana – si legge nelle sue affermazioni – entro le 18:00 il temporale si sposterà più a nord”.
Al di là dell’evidente differenza tra i dati a cui Mazon ha fatto riferimento e quelli contenuti nel bollettino di Aemet (l’Agenzia meteorologica spagnola), la quale alle 12:00 del 29 ottobre ha lanciato un’allerta rossa su Valencia, si può ben notare come il sistema di allarme sia improntato sui dati e sulle segnalazioni del momento.
La previsione ossia è legata a un arco temporale ridotto e riguardante le ore immediatamente prossime. Un principio che, se da un lato garantisce maggiore flessibilità nel lancio delle previsioni, con la possibilità di aggiornare un livello di allerta quasi in tempo reale, dall’altro però crea non pochi problemi in caso di emergenza. A partire proprio da una certa confusione nella comunicazione tra gli enti.
Il principio su cui si basa il sistema italiano, come si è visto in precedenza, è diverso. Nella penisola, i bollettini emessi il giorno prima dalla protezione civile “cristallizzano” in qualche modo la situazione. Al di là dell’esattezza o meno della previsione, l’allerta emanata rimane in vigore per 24 ore.
Le responsabilità in capo alle Regioni e agli enti locali
Su una cosa il modello italiano e spagnolo non divergono: ossia l’affidamento del controllo delle emergenze a Regioni ed enti locali. “Qui sono le comunità autonome, corrispondenti alle nostre regioni, a dover gestire le emergenze – conferma ai nostri microfoni Roberto Pellegrino, giornalista italiano residente a Valencia – è per questo che adesso ci sono molte polemiche tra il governo principale e quello regionale”.
Il differente sistema di allerta però, sembra creare risultati diversi. In Italia, come sottolineato in precedenza, l’allerta vale per tutte le 24 ore successive al bollettino della protezione civile. Una volta diffuso il contratto, la palla passa ai dipartimenti regionali della protezione civile i cui dirigenti, in caso di allerta arancione o rossa, inviano la segnalazione via Pec al prefetto e ai sindaci interessati.
A questo punto, prefetture e comuni si attivano per dare seguito alle allerte. Il colore rosso e arancione nel bollettino non dà luogo ad obblighi, ma i primi cittadini devono predisporre tutti gli atti necessari a garantire l’incolumità della cittadinanza. Spesso, ad esempio, si ricorre alla chiusura delle scuole e alla sospensione delle manifestazioni all’aperto. Una mossa quest’ultima che evita di far uscire di casa centinaia di persone, a prescindere poi se le previsioni si dovessero o meno avverare.
Una diversa concezione di protezione civile
Oltre al sistema di allerta, la vera differenza tra Italia e Spagna è data anche dalla concezione stessa di protezione civile: “Qui in Spagna – afferma ancora Roberto Pellegrino – non esiste una vera protezione civile e nei casi di emergenza si fa riferimento principalmente all’esercito”.
Una circostanza, anche questa, che ha rallentato a fine ottobre l’arrivo dei soccorsi a Valencia per via, tra le altre cose, del rimpallo di responsabilità tra Madrid e le comunità locali sulle competenze nella gestione dell’emergenza. In Italia, la ramificazione delle squadre di protezione civile e di pronto intervento, comprese quelle dei vigili del fuoco, permette una risposta più immediata.
L’attuale apparecchiature di gestione degli eventi calamitosi lao si deve soprattutto alle esperienze maturate dopo i terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in Irpinia, eventi che hanno dimostrato la vulnerabilità di un sistema di soccorso eccessivamente centralizzato e hanno fatto maturare una certa consapevolezza sull’importanza di un’estesa e celere risposta agli eventi naturali più violenti.
L’impostazione italiana sembra funzionare. Nelle recenti alluvioni che hanno coinvolto principalmente l’Emilia Romagna, anche se è stato impossibile scansare gli ingenti danni materiali, tuttavia il numero di vittime e di persone coinvolte è risultato limitato rispetto all’ampiezza dei fenomeni. Segno di come un adeguato sistema di allerta riesca a salvare molte vite umane.
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di Mauro Indelicato
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2024-11-05 14:59:00 ,
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