di Lily Hay Newman
La ricerca di Stop evidenzia anche come gli stati pro-choice, che sostengono cioè la libertà di scelta individuale in merito all’aborto, saranno costretti a riesaminare le iniziative locali, interstatali e federali legate alla condivisione dei dati, compresa la partecipazione ai cosiddetti fusion center, che consentono la condivisione delle informazioni tra i diversi corpi delle forze dell’ordine. Queste e altre iniziative controverse, pensate per combattere il terrorismo e individuare le persone che si trovano illegalmente sul territorio statunitense, potrebbero essere rapidamente ampliate per indagare sulle persone incinte, su chi lavora nel settore della salute riproduttiva e altri soggetti ancora. Una recente indagine del Georgetown Law’s Center on Privacy & Technology ha illustrato fino a che punto l’Agenzia statunitense per l’immigrazione e l’applicazione delle leggi doganali è stata in grado di espandere le proprie capacità di sorveglianza collaborando con agenzie locali e statali e combinando numerose fonti di dati.
Stop segnala inoltre come che la tattica che prevede la creazione di falsi account sui social media per ingannare le persone e indurle a rivelare i propri interessi o intenzioni è facilmente adattabile alle indagini sulle interruzioni di gravidanza.
La necessità di un intervento legislativo
“Nei settori della sicurezza digitale e della privacy dei dati, diciamo sempre che tutto dipende dalle motivazioni dell’avversario – racconta Andrea Downing, inventrice dell’organizzazione no-profit Light Collective e ricercatrice che si occupa di sicurezza e privacy –. In questo caso, molti dei nostri dati sono già in circolazione. Combinando in qualche modo i dati sulla fertilità, la cronologia delle app di dating, i dati sulla posizione, e quelli sullo shopping è possibile delineare un quadro senza che ce ne si renda conto. E non è colpa di nessuno“.
Il rapporto di Stop ribadisce che se da un lato singoli individui possono adottare misure per proteggere se stessi e i propri dati da occhi indiscreti, dall’altro è necessario un cambiamento strutturale e legislativo per proteggere i cittadini.
“Solo perché da anni siamo sottoposti a questa sorveglianza governativa apparentemente infinita, non significa che la cosa sia inevitabile. Non è la tecnologia a compiere le scelte, ma i legislatori – spiega Fox Cahn di Stop –. Ma per ora, quello che continuiamo a dirci in ufficio è che dopo Roe v Wade, non sembrerà di stare nel 1973 [anno in cui la Corte Suprema ha pronunciato la sentenza, ndr], ma in 1984“.
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www.wired.it
2022-05-30 05:00:00