Quando è stata annunciata Adolescence su Netflix ho pensato, molto superficialmente (ora me ne rendo conto) che si trattasse di un thriller con il tipico ragazzino à la Macaulay Culkin ne L’innocenza del diavolo. Il rassicurante bambino diabolico dei film talmente esagerato da non poter somigliare a nessuno degli adolescenti che conosciamo, nostri figli compresi. Il fatto che si trattasse di una serie british e che ci fosse di mezzo Stephen Graham doveva farmi spicciare qualche dubbio, è vero, ma ho continuato nella mia beata ignoranza fino al momento dell’uscita della miniserie sulla piattaforma.
Non sono riuscita a vedere gli episodi nel giorno della release e la prima cosa che ho chiesto a Lorenza Negri, autrice della bellissima recensione, è stata ma quindi è la storia di un ragazzino psicopatico? E lei mi ha risposto, no, è un ragazzino normale. È probabilmente la migliore serie del secolo ed è un incubo.
Aveva completamente ragione e mi concentrerò sulla seconda parte della frase, piuttosto che la serie è un incubo senza respiro, dal primo momento all’ultimo non fa sconti, non lascia spiragli. In molti (me compresa) hanno sperato in uno di quei finali salvifici che sistemano tutto e ci fanno andare a dormire tranquilli. Non è così, fin dal primo episodio sappiamo benissimo che non c’è scampo. Jamie (Owen Cooper, di una bravura impressionante) ha ucciso Katie, la sua compagna di scuola. Non conosciamo ancora il motivo, ma lo ha fatto, le prove sono schiaccianti, ce le fanno vedere, siamo lì nella stazione di polizia seduti insieme a Jamie e a suo padre. In un angolo della nostra mente rimane quella piccolissima speranza che si siano sbagliati, che ci sia qualcosa, qualsiasi cosa che può salvarci da questo orrore.
Non c’è. Se nel secondo episodio della serie possiamo vagamente distrarci, il terzo arriva come una mannaia. Il colloquio tra Jamie e la psicologa Briony Ariston (l’eccezionale Erin Doherty, che avrete già visto in The Crown) lascia senza fiato. La decostruzione di Jamie, pezzetto per pezzetto. La dolorosissima alternanza tra i momenti in cui il ragazzino ci fa una tenerezza immensa e quelli in cui fa molta paura, la banalità del male nello sguardo e nei gesti di un tredicenne con un viso bellissimo e una voce che in alcuni momenti porta ancora tracce dell’infanzia (e questa è davvero una pugnalata al cuore per chiunque abbia avuto a che fare con quella strana e commovente fase in cui nell’sbarbatello viene fuori, ogni tanto, il bambino che è stato fino a pochi anni prima). Un ragazzino ‘normalissimo’ compiutamente privo di strumenti per gestire l’emotività, con gravissime conseguenze.