ROMA – Dieci aggressioni al mese. Fisiche, verbali, a mezzo social o con cori e striscioni. E sempre più spesso allo stadio, che dopo le chiusure imposte dal Covid è tornato la zona franca in cui tutto è permesso, soprattutto se a farne le spese sono i protagonisti del pallone. Il report dell’Assocalciatori “Calciatori sotto tiro” rivela come il fenomeno delle violenze, non soltanto verbali, rivolte contro i ragazzi del pallone – e non solo giocatori. Un documento presentato nelle aree del Circolo sportivo della Polizia di stato, e davanti al presidente dell’Osservatorio del Viminale Paolo Cortis a fare da padrone di abitazione.

Razzismo e aggressioni negli stadi
Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina ha ricordato il caso “del giovane arbitro Cissé, della Nuova Guinea, costretto a interrompere una partita di seconda categoria perché assalito e coperto da insulti razzisti. Siamo vicini a lui, ma servono provvedimenti restrittivi nei confronti di questi delinquenti”. E inquietante è il fatto che il razzismo resta una delle motivazioni principali delle aggressioni. Il 43% dei casi per razzismo, il 44% le prestazioni. Basti pensare che il 39% delle preoccupazioni riguardano ragazzi africani, poco meno degli europei (42%): sufficiente a capire che Paola Egonu parlando dell’Italia come un Paese ancora in balia del razzismo, ha detto una assoluta verità.

Sotto attacco la Serie A
In tutto, registrati nell’ultima stagione 121 episodi di intimidazione e violenza ai danni dei protagonisti del calcio: in un anno, sono raddoppiati. Quasi il 50% degli episodi si è sviluppato nelle regioni del nord, il 25% in Lombardia, poi Campania e Lazio, storicamente sempre ai primi posti delle regioni più colpite da casi di violenza. Il dato significativo è come questi episodi colpiscano sempre più frequentemente il vertice della piramide: la Serie A sconta un dato sensibilmente più alto degli anni precedenti, col 69% di incidenza, ma è l’85% delle volte che un calciatore professionista. Le motivazioni? Nell’83% delle occasioni, il bersaglio di violenze e intimidazioni è il singolo calciatore.
Una “aggressione” su 4 in Lombardia
Il dato che colpisce è la radice geografica: il 50% delle intimidazioni e delle aggressioni capita al Nord, addirittura una su quattro in Lombardia, la regione più esposta a fenomeni del genere. Subito dietro, Campania e Lazio, storicamente esposte. Lo stadio torna a essere il luogo in cui si svolgono principalmente le intimidazioni, dopo gli anni del Covid: 60% degli episodi. Come si sviluppano? Il 36% sono cori, il 22% insulti, il 14% striscioni, solo il 9% arriva sui social network. Ma il dato non rassicuri, anzi: perché le intimidazioni via social sono sempre quelle più circostanziate: “so dove vanno a scuola i tuoi figli”, “so dove abiti” e quindi più pericolose e più efficaci. Le aggressioni fisiche rappresentano il 7% del totale, a cui aggiungere i furti, – al 4% – e il 3% di danni ai beni.
Il caso dell’arbitro Cissé
Umberto Calcagno, il presidente dell’Aic, ha sintetizzato così il report: “La situazione è serissima: se è vero che i dati potrebbero essere interpretati in maniera differente, la tendenza oggi mi preoccupa molto. Deve farci riflettere il fatto che le aggressioni verso i singoli siano sempre di più. E che si stanno spostando verso il settore professionistico e apicale, visto che la Serie A è sempre più coinvolta. Questo report era stato lanciato con l’hashtag ‘non è normale’. Non è compreso nella professione di un calciatore una dinamica come questa. Dobbiamo normalizzare il nostro mondo e la figura del calciatore: mi preoccupano molto gli spostamenti abitazione-lavoro dei calciatori”. Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina ricorda: “Viviamo nell’epoca del tribunale pubblico dei social. Servono provvedimenti severissimi contro i mascalzoni, i delinquenti: abbiamo avuto arbitri con 60 giorni di prognosi, siamo vicini al giovane arbitro Cissé, della Nuova Guinea. Il momento è delicato”.
Violenza nel calcio, il ministro Abodi: “Il Daspo non basta, occorre la certezza della pena”
“Perché certi striscioni entrano negli stadi?”
Mentre il ministro dello sport Andrea Abodi ha puntato sulla certezza della pena: “Chiunque abbia vissuto l’esperienza di accompagnare un figlio al campo di calcio ha visto genitori più aggressivi dei figli, che se la prendono con avversari, con l’arbitro. Vogliamo ritrovarci tra un anno con una statistica persino peggiore? A volte la tendenza è dire: vabbè, ma molti sono cori, striscioni, insulti, l’aspetto fisico è limitato. Ma questi aspetti sono l’anticamera della violenza fisica. La certezza della pena segna il crinale, la percezione d’impunità è l’inizio del male. Sull’immediatezza e la certezza della pena ci giochiamo un pezzo di credibilità”. Con una chiosa: “Resta difficile capire perché gli striscioni entrino negli stadi”. Una domanda a cui da tempo manca una risposta.