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“È qualcosa di indefinito e
indefinibile, un momento di condivisione e di riflessione
piuttosto allegro su temi come il femminismo, l’umiliazione, la
rivalsa, il senso di colpa, l’autodeterminazione” lo spettacolo
‘Svelarsi’, come annuncia una nota, di e con Giulia Aleandri,
Elvira Berarducci, Smeralda Capizzi, Benedetta Cassio, Livia De
Luca, Chantal Gori, Giulia Pietrozzini e Silvia Gallerano che
firma anche la regia, in scena martedì 26 novembre (ore 21) nel
Teatro Nuovo di Napoli.
‘Svelarsi, si aggiunge, “è un percorso di studio, per questo
si rivolge a un pubblico solo di gentil sesso – cis, trans e
non binarie -, tutte quelle che vivono in un corpo di regina. Non
si tratta di creare uno spazio sicuro per chi è sul palco, ma di
indagare che cosa succede ai corpi simili di chi assiste,
domandarsi se il proprio corpo risuona più profondamente con
quello che vede, nudo, in scena. Lo sguardo maschile rimane
fuori dalla sala per un po’, aspetta. Non è un desiderio di
esclusione degli uomini, ma un tipo di sguardo predatore,
giudicante, sminuente. È uno sguardo che abbiamo tutte e tutti
in diversa misura, frutto della nostra società fondata sulla
supremazia maschile. Come fare a eliminarlo?”
“Noi abbiamo immaginato – si legge nella nota – questo
esperimento per creare un tempo e uno spazio in cui dei corpi
femminili si trovano in una condizione anomala, non quotidiana.
Per farlo ci concentriamo sui nostri corpi e sulle storie che si
portano dentro”.
‘Svelarsi’ è un’altalena tra un senso di invasione, una
mancanza di spazio, una compressione, da una parte; la potenza,
lo strabordare, la risata travolgente, dall’altra. Si parte da
vissuti diversi che hanno una nota comune di umiliazione,
mutilazione, invisibilità. Messi insieme, tutti questi vissuti,
si mostrano per quel che sono: semplici soprusi, spesso
meschini. Se ne vedono i contorni tragicomici, s’impara a
riderci su e a rispondere con una potenza che non è stata
sopita. Il lavoro di scrittura è un lavoro condiviso: ogni
attrice ha scritto con le parole o con il proprio corpo la sua
presenza in questo lavoro. La scrittura, si mette in evidenza,
“non è solo di parole, anzi è soprattutto una scrittura di
corpi. Le parole a volte sono gli inganni, il rumore
dell’abituale: i corpi, in questi momenti di svelamento rivelano
la loro vera essenza”. “Queste due ore – sottolinea la regista –
non sono una risposta o una soluzione all’invadenza di questo
tipo di sguardo. L’esperienza che proponiamo solleva una
questione, pone delle domande, evidenzia dei dati. Tornate nel
mondo, dopo questa piccola pausa, siamo più consapevoli di
quello che viviamo, e possiamo decidere che cosa fare di quello
che abbiamo scoperto, intravisto, ascoltato”.
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