di Philip Di Salvo
“Alaa è uno dei rappresentanti di punta dei blogger arabi degli anni Duemila: erano tecnologi, ragazzi e ragazze, appassionati di open source, ma anche cronisti politici e agitatori culturali; da una parte Alaa è l’erede di una famosa famiglia di attivisti, dall’altra è una figura nuova, moderna e completamente internazionale”, spiega a Wired Marina Petrillo, giornalista italiana che ha seguito da vicino le Primavere arabe e le loro propaggini online e che proprio in queste settimane pubblica Canto la piazza elettrica, un libro che ripercorre quelle esperienze a un decennio di distanza. Raccontando la storia politica e umana di Alaa Abd El-Fattah degli ultimi 15 anni, Petrillo ricorda come quella di Alaa sia una storia che ha visto nella privazione della libertà una costante: “nel 2006 Alaa era stato arrestato dopo una manifestazione al Cairo e rilasciato grazie a una grande campagna internazionale online, e in seguito a quell’esperienza si era trasferito con la sua compagna Manal in Sudafrica, dove entrambi facevano i programmatori civici, osservando da vicino l’esperienza post-apartheid”.
Già qualche anno dopo, però, ai primi segnali di imminente movimento nella sfera pubblica e nelle piazze egiziane, Alaa torna a dimora, per unirsi alle proteste: “nel 2011, quando capiscono che quella che sta scoppiando al Cairo è una vera e propria rivoluzione, fanno i bagagli e tornano a dimora. Lì Alaa incarna una specie di leader soft, un mediatore culturale che però arriva a frapporsi fisicamente tra i più fragili e le forze di sicurezza. Diventa un simbolo. In dieci anni, rifiutandosi di sottrarsi alla magistratura o di mettersi al sicuro all’estero, passa quasi otto anni in carcere. Oggi in cella non può avere carta e penna, né vedere il sole, e per la prima volta ha manifestato pensieri suicidi”.
Il libro, seguendo gli scritti di Alaa, serve anche a ripercorrere dieci anni di lotte politiche in Egitto e a mappare le evoluzioni del Paese a partire dalla Primavera araba. Il ritratto che ne esce è a tinte scurissime in quanto gli ultimi dieci anni di vita politica dell’Egitto sono stati tutto tranne che “rivoluzionari”. Secondo Marina Petrillo, l’eredità di quella rivoluzione, per come emerge anche dagli scritti di Alaa, si può riassumere in questi termini: “morte e distruzione. Quasi 70 mila prigionieri politici. Migliaia di desaparecidos. L’impossibilità di farsi partito o di manifestare. La completa restaurazione del dominio dell’esercito sulla società civile. Il silenzio della comunità internazionale”. A dieci anni esatti dalle proteste iniziali di Piazza Tahrir è però impossibile non guardare indietro a quella esperienza che, almeno nella sua fase iniziale, sembrava potesse segnare un netto passo in avanti nelle condizioni di libertà dell’Egitto e, nel complesso, l’inizio di un avanzamento complessivo dei movimenti in tutto il pianeta. Di tutto questo, sostiene Marina Petrillo, qualcosa è però ancora visibile, in “due generazioni di giovani fieri e consapevoli per i quali le cose non saranno mai più come prima, una straordinaria cultura degli archivi e della memoria, una visione intersezionale della politica, un impegno strenuo nel giornalismo, nell’arte, nelle università, nei sindacati”. Pur essendo di fatto il diario di una prigionia, la cui lettura riflette il dolore di quella esperienza in pieno, è proprio questo sentimento, questo afflato a emergere dalla scrittura di Alaa che, pur quando riflette amaramente sulla sconfitta della rivoluzione egiziana, non può non rimarcare i suoi echi internazionali e, in qualche modo, anche la sua eredità simbolica. Continua Marina Petrillo: “a livello globale si potrebbe tracciare una mappa intellettuale della diaspora egiziana che va da New York a Berlino. Quella rivoluzione visionaria vive in queste persone. Alaa è un intellettuale giocoso, sempre in transizione, ma inamovibile nella sua coerenza. Una figura così in Europa non esiste”.
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2021-12-26 06:00:00