BOLOGNA – “Federico come tanti ragazzi era idealista. Suo padre era vigile urbano, ora in pensione; suo nonno carabiniere. Una colpa che mi faccio è di non averlo messo in guardia. Io, noi non gli abbiamo mai insegnato ad aver paura della polizia”. Dopo alcuni anni di silenzio torna a parlare Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, ucciso durante un intervento di polizia l’alba del 25 settembre 2005 nella sua Ferrara. Ospite del podcast “Il muschio selvaggio” di Fedez e Davide Marra, la donna ha ripercorso la drammatica vicenda che ha distrutto la sua famiglia. E raggiunta al telefono da Repubblica, la mamma di Federico chiarisce: “Non è la divisa stessa, il lavoro che si svolge, che qualifica le persone. Non è semplicemente perché si indossa la divisa che si diventa affidabili. Come in ogni mestiere o incarico, qualunque vestito si indossi, non è quello che qualifica le persone. Ci sono fortunatamente tante persone corrette e oneste che usano il cervello e il cuore, e altri no. Quelli che ha incontrato Federico evidentemente no”.
I quattro agenti intervenuti quella mattina in zona Ippodromo (Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri), dove Federico si era separato dai suoi amici al rientro da un concerto a Bologna, sono stati condannati in via definitiva per eccesso colposo in uso legittimo delle armi e della violenza. La pena, di tre anni e sei mesi, è stata ridotta a sei mesi per mezzo dell’indulto. “Sono la prima che dice che non credo volessero ucciderlo, ma forse fargli veramente molto male”, dice Moretti nella puntata di “Muschio selvaggio”, “forse perché Federico aveva visto qualcosa. Li ha beccati in qualcosa. Ho questa idea, è la mia opinione”. “E’ stato dimostrato che la prima pattuglia era già nel parchetto – aggiunge al telefono – è emerso dal processo, ma non si è mai saputo il perché, cosa facessero lì i due agenti. Io arrivo a questa conclusione in base a questi semplici elementi, altrimenti come si spiega un atteggiamento così feroce? Non riesco a capacitarmene in nessun modo”.
“Ucciso di botte”
La storia di Federico Aldrovandi è una vicenda di dolore inesauribile, quello della famiglia, alimentato anche da pesantissimi silenzi: Federico è stato, scandisce la donna, “ucciso. Di botte. Senza motivo. Senza che avesse commesso nessun reato. Senza che nella placida, nebbiosa Ferrara nessuno riuscisse a salvarlo. Tanto persone hanno sentito, però hanno faticato moltissimo a testimoniarlo”. Un dolore nutrito anche da “tante omertà, collusioni, complicità, ai vertici delle istituzioni ferraresi. Io so chi ha insabbiato e chi ha mentito: hanno mancato al loro dovere e alla loro umanità”.
“Ci sono state le indagini sui depistaggi – ricorda Moretti a Repubblica – ma continuo che quello che è emerso non sia tutto. Ci sono stati tanti atteggiamenti e modalità che non sono definibili come reati, ma che hanno contribuito”. Su quello che è successo quella notte, Patrizia Moretti aggiunge ancora: “Chissà mai se un giorno qualcuno avrà il cuore di raccontare perché è successo questo, come sono andate le cose. Non me l’aspetto dagli imputati, ma penso che non siano gli unici a saperlo”.
Moretti racconta anche la fatica di portare avanti per così tanto tempo la battaglia per la verità. “Io non so dove ho trovato la forza per anni di farlo. A un certo punto, proprio sfinita, ho ritirato tutte le querele”. Ma la battaglia di Patrizia e del papà di Federico, Giuliano Aldrovandi, continua “grazie all’arte. Io ringrazierò sempre i giovani e non solo giovani e che con testi o murales parlano di lui”.
repubblicawww@repubblica.it (Redazione Repubblica.it) , 2024-01-31 12:33:25 ,bologna.repubblica.it