Altruisti o egoisti? I ricercatori e le ricercatrici della Statale di Milano e dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) hanno dimostrato come questo dipenda sicuramente da fattori sociali e comportamentali, ma anche da meccanismi cerebrali che interessano un’area particolare del nostro cervello, l’amigdala. Lo studio, pubblicato su Nature Neuroscience, ha indagato le cause che portano ad atteggiamenti altruisti o egoisti nel mondo animale, con lo scopo di fornire una conoscenza sempre più dettagliata del meccanismo alla base di questi comportamenti per comprendere meglio tutte quelle condizioni patologiche, come malattie neuropsichiatriche e neurodegenerative, in cui il comportamento sociale non è funzionale. Pensiamo a una spiccata mancanza di empatia o a un eccessivo comportamento antisociale. Il team di ricercatori è infatti già al lavoro su diversi fronti, applicando ad esempio questo modello allo studio di patologie come l’autismo, la schizofrenia e l’Alzheimer. Tra gli obiettivi quello di identificare una singola molecola all’interno del circuito studiato per fornire un bersaglio farmacologico per una terapia specifica per i disturbi della sfera sociale. Ma andiamo con ordine.
A influenzare le scelte ci sono fattori sociali e neurobiologici
Lo studio s’inserisce in un contesto preciso ed è stato possibile anche grazie al fatto che da circa 10 anni a questa parte negli animali vengono studiati aspetti legati alla sfera emotiva e affettiva: storicamente si pensava che questo tipo di funzioni cognitive e sociali fossero in qualche modo riservate all’essere umano e non ad altri mammiferi, come invece ormai è dimostrato dalla letteratura scientifica. “Lo studio è cominciato circa cinque anni fa. Con le prime prove per lo sviluppo di un nuovo test ci siamo chiesti se i topi fossero in grado di compiere azioni che potessero poi portare a dei benefici per un loro pari, facendosi carico di uno sforzo maggiore pur di condividere con un loro compagno una ricompensa – spiega il ricercatore e neuroscienziato Diego Scheggia, che ha condotto lo studio tra IIT e Statale di Milano – una volta messo a punto il modello, analizzando il comportamento, abbiamo sfruttato questo test per andare a studiare la neurobiologia alla base di queste scelte”. L’interesse principale dello studio era infatti capire cosa influenzasse il processo decisionale, scoprendone i fattori neurobiologici e quelli di tipo sociale. Sono stati adattati test normalmente svolti con gli esseri umani come il “dictator game”, in cui un soggetto può scegliere se condividere o meno il cibo con un partner. “Abbiamo notato che appartenere allo stesso contesto sociale aveva un’influenza, così come la dominanza sociale: gli animali come gli uomini hanno una gerarchia sociale all’interno del proprio gruppo e quelli nei ranghi più dominanti tendevano a condividere ricompense in maniere preferenziale” prosegue Scheggia. Il passo successivo è stato indagare, dal punto di vista neurobiologico, quali fossero i circuiti legati a questo tipo di comportamenti nel cervello, scoprendo che l’amigdala basolaterale “mostra un’attività neuronale superiore negli animali più altruisti”. Queste analisi molto precise sono possibili grazie alla chemogenetica, che permette di attivare e disattivare singoli circuiti cerebrali, per capire quali sono coinvolti in un certo processo: “Silenziando queste specifiche cellule abbiamo visto che questa predisposizione altruista si perdeva”. Il cervello però non lavora a compartimenti stagni quindi l’analisi si è spostata poi sulle connessioni fra l’amigdala basolaterale e la corteccia prefrontale, coinvolta in molti processi cognitivi, ottenendo lo stesso comportamento: spegnendo quelle cellule quasi tutti gli animali sono diventati più egoisti.
Le implicazioni dello studio nella battaglia contro le malattie neuropsichiatriche e degenerative
Il funzionamento di questi meccanismi scoperti nei topi potrebbe essere simile nell’uomo: “È possibile che per l’essere umano funzioni allo stesso modo – precisa Scheggia – La corteccia prefrontale e l’amigdala non sono regioni del cervello scelte a caso: sappiamo che l’amigdala è coinvolta in funzioni legate alla socialità anche nell’uomo, e anche la corteccia prefrontale ha un ruolo preponderante di controllo su tante funzioni cognitive nella sfera sociale”. I risultati raggiunti potranno essere applicati a dei modelli disfunzionali e patologici, che saranno utili nello studio di malattie neuropsichiatriche: “Molte sono associate a disturbi della sfera sociale, noi vogliamo utilizzare questo modello per poterlo poi traslare sull’uomo. Al momento stiamo usando modelli di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer per capire, e in futuro identificare, la presenza di un possibile bersaglio, agendo direttamente così su quei deficit sociali che si manifestano in tante condizioni neuropsichiatriche”. Le implicazioni dei risultati della ricerca non riguardano solo malattie neurodegenerative: “Stiamo studiando molto i fattori genetici che predispongono a determinate patologie e stiamo indagando come questi modelli di egoismo e altruismo possano risultare alterati in malattie genetiche che predispongono alla schizofrenia e all’autismo.– racconta Francesco Papaleo, responsabile del laboratorio di Genetics of Cognition di IIT che ha partecipato allo studio – L’idea è che già da piccoli questi circuiti non funzionino bene e quindi il soggetto non riesca a sviluppare alcune abilità socio-cognitive. Il nostro scopo è capire quali sottotipi cellulari non si formino nel modo adeguato, intervenendo all’inizio per poterli poi correggere”.
Ma esiste una predisposizione genetica all’altruismo e all’egoismo? “Questo è difficile da dire ma non possiamo escludere che ci sia qualcosa di innato in ognuno di noi che possa essere considerata una sorta di predisposizione. Abbiamo visto ad esempio che gli animali che alla fine del test esprimono delle preferenze tendenzialmente altruistiche sono anche quelli che hanno un maggiore interesse alla socialità” dice Scheggia. “Ci sono delle predisposizioni genetiche che ci rendono più o meno sensibili agli altri – conclude Papaleo – autismo e schizofrenia hanno un’alta componente genetica quindi un po’ di predisposizione ad alterazioni della sfera socio-cognitiva c’è. Non esiste però il gene dell’altruismo o dell’egoismo”.
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di Simona Buscaglia www.wired.it 2022-12-11 18:00:00 ,