È in grado di rallentare la progressione dell’Alzheimer. È questa la promettente capacità del farmaco donanemab, un anticorpo monoclonale messo a punto dalla casa farmaceutica Eli Lilly che, presentando i risultati dello studio di fase 3 Trailblazer-Alz 2 in occasione dell’Alzheimer’s association international conference (Aaic) 2023, ha dimostrato come il principio attivo abbia rallentato significativamente il declino cognitivo e funzionale nelle persone con malattia di Alzheimer sintomatica precoce positiva per l’amiloide.
I dati sono stati contemporaneamente pubblicati sulla rivista Jama, mentre l’azienda ha presentato una domanda di approvazione per il suo farmaco sperimentale alla statunitense Food and drug administration (Fda), in attesa di una decisione normativa prevista entro la fine dell’anno. “I dati positivi di Trailblazer-Alz 2 portano speranza alle persone con malattia di Alzheimer che hanno urgente bisogno di nuove opzioni terapeutiche – ha affermato in una nota Anne White, vicepresidente esecutivo di Eli Lilly and Company -. Se approvato, riteniamo che donanemab possa fornire benefici clinicamente significativi per le persone con questa malattia e la possibilità di completare il loro ciclo di trattamento già 6 mesi dopo che la loro placca amiloide è stata eliminata”.
Nel dettaglio, sono stati coinvolti pazienti suddivisi in base al loro livello di tau, un biomarcatore predittivo per la progressione della malattia, in un gruppo tau medio-basso e in un gruppo tau alto. Tutti i pazienti sono stati valutati in un periodo di tempo di 18 mesi, utilizzando scale che misurano la capacità cognitiva e funzionale, ossia l’Alzheimer’s Disease Rating Scale integrata (iAdrs) e il Clinical Dementia Rating-Sum of Boxes (Cdr-Sb). Dai risultati è emerso che donanemab ha ridotto in modo significativo i livelli di placca amiloide, a prescindere dallo stadio patologico della malattia al basale, in media dell’84% a 18 mesi, rispetto a una diminuzione dell’1% per i partecipanti al placebo; e che quasi la metà dei partecipanti trattati nello stadio iniziale della malattia non hanno mostrato progressione clinica a un anno.
Da ulteriori indagini, inoltre, è emerso che il trattamento in fase più precoce di malattia hanno avuto un beneficio ancora maggiore, con un rallentamento del declino cognitivo del 60% rispetto al placebo. Infine, l’effetto complessivo del trattamento ha continuato ad aumentare nel corso dello studio, con maggiori differenze rispetto al placebo osservate a 18 mesi. “Questi risultati dimostrano che la diagnosi e il trattamento precoce delle persone nel corso dell’Alzheimer possono portare a maggiori benefici clinici – ha affermato Liana Apostolova, dell’Indiana University School of Medicine -. Il ritardo nella progressione della malattia nel corso della sperimentazione è significativo e darà alle persone più tempo per fare cose significative per loro”.
Come vi abbiamo già raccontato, tuttavia, gli effetti collaterali del farmaco non mancano. Alcuni pazienti hanno sviluppato la condizione Aria (amyloid-related imaging abnormalities), che consiste nell’insorgenza di rigonfiamenti temporanei in alcune aree del cervello (Aria-E) o in microemorragie (Aria-H). Secondo quanto riportato dall’azienda farmaceutica, entrambi possono essere gravi e persino fatali in alcuni casi. Questo rischio, quindi, dovrebbe essere gestito con un’attenta osservazione, monitoraggio con risonanza magnetica e azioni appropriate. Sono state osservate anche gravi reazioni correlate all’infusione e anafilassi.
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di Marta Musso www.wired.it 2023-07-18 10:12:06 ,