Nonostante le politiche sulla privacy di Amazon non ne esplicitino l’utilizzo, la big tech di Jeff Bezos si serve del contenuto delle conversazioni che gli utenti intrattengono con Alexa – l’altoparlante intelligente sviluppato dall’azienda americana – per identificare i loro interessi e regolare, in tal modo, gli annunci pubblicitari che appariranno sui loro computer. A sostenerlo è uno studio pubblicato da ricercatori informatici di quattro università americane: University of Washington, University of California-Davise, University of California-Irvine e Northeastern University.
Il punto di partenza – La Repubblica ha intervistato il primo autore dello studio, Umar Iqbal, ricercatore della University of Washington, che ha spiegato com’è nata la ricerca. “Volevamo capire in che modo i dispositivi come Echo – l’hardware di Alexa – di Amazon raccolgono dati vocali dai loro utenti, e li condividono con gli advertiser [inserzionisti, ndr] perché questi visualizzino pubblicità su misura”. Iqbal e colleghi hanno immaginato che per giungere a un’interpretazione empiricamente fondata fosse necessario porsi una domanda definita e mirata: “Una volta attivato Echo, quindi quando abbiamo la consapevolezza di essere ascoltati, che succede ai nostri dati vocali? Come vengono usati?“.
L’impostazione dell’esperimento – “Abbiamo creato sui dispositivi ‘Echo’ diversi profili, ognuno caratterizzato da un certo interesse: una persona interessata alla cucina, un’altra allo sport, e così via”, racconta. “Poi abbiamo installato delle ‘skill‘ – si tratta di applicazioni con attivazione vocale che aggiungono funzionalità al dispositivo – sugli Echo di questi utenti e abbiamo fatto in modo che gli utenti interagissero vocalmente, ognuno con le app più in linea con il suo interesse specifico“. “Infine – conclude – abbiamo chiesto a questi soggetti di aprire il loro browser, effettuare il login su Amazon e navigare sia su Amazon che su altri siti. Osservando le pubblicità che venivano visualizzate”.
La scoperta – L’esperimento ha messo in luce aspetti tutt’altro che scontati. “Innanzitutto abbiamo notato – scaricando i dati sugli interessi che Amazon, per la legge sulla privacy, consente di scaricare ai suoi utenti registrati – che per ognuno dei nuovi profili utente che avevamo creato, Amazon aveva aggiunto degli ‘interessi‘ individuati attraverso le app scaricate e la conversazione degli utenti con Alexa”, osserva. Le pubblicità mostrate da Amazon non erano generiche, ma modellate sulle caratteristiche dei profili utente creati ai fini della ricerca. Oltre agli aspetti legati alla logica che spiegherebbe l’aumento della pubblicità, i ricercatori hanno dedicato spazio anche ai vantaggi economici sfruttati da Amazon: “Abbiamo visto che gli spazi pubblicitari targettizzati sugli interessi ‘captati’ da Echo nelle conversazioni con l’utente venivano a costare agli advertiser a prezzi fino a 30 volte più alti del prezzo medio. Questo suggerisce l’alto valore per Amazon dell’individuare gli interessi dell’utente dalla sua conversazione vocale con Alexa”.
Il rapporto con le terze parti – Dallo studio emerge il legame che gli utenti intrecciano inconsapevolmente con altre realtà. “Abbiamo osservato che molte delle ‘skill‘ che abbiamo installato su Echo – racconta – comunicano direttamente con gli advertiser, inviando dati. Abbiamo poi riscontrato che 41 degli advertiser sincronizzano i loro cookie con Amazon. E questi advertiser che scambiano dati con Amazon poi sono quelli che hanno un valore più alto per le loro pubblicità, dovuto alla maggiore personalizzazione”. Eppure, nelle policy di Amazon esaminate dai ricercatori non compaiono informazioni relative all’utilizzo dei dati vocali per la pubblicità. Senza contare le recenti dichiarazioni in cui il colosso prometteva che non avrebbe sfruttato le parole registrate da Alexa.
Le politiche sulla privacy – Ciò che le terze parti fanno dei nostri dati dipende anche dal contributo di Amazon che filtra le informazioni: “Bisogna specificare che i produttori delle ‘skill’, quando interagiamo con una skill attraverso Echo, non ricevono i nostri dati vocali: è Amazon che riceve i dati vocali, li trascrive, e poi invia al produttore delle varie ‘skill’ la trascrizione del comando – non dell’intera conversazione, ma solo delle parole identificate come comandi – in modo che la ‘skill’ possa eseguirlo”. In più, molte delle difficoltà che l’utente incontra per evitare lo sfruttamento indesiderato delle proprie parole derivano dall’assenza di tutele che, in questo caso, dovrebbero essere garantite: “Quello che abbiamo notato analizzando 450 ‘skill’ (le 50 ‘skill’ più popolari per 9 categorie) è che soltanto il 47,6% delle ‘skill’ forniscono un link alle loro policy per la privacy. E di 188 privacy policy visualizzate, ben 129 sono molto generiche e non menzionano né Alexa né Amazon”.
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di F. Q.
www.ilfattoquotidiano.it
2022-05-05 14:43:56 ,